top of page

Colpa e dolo: modelli cognitivi impliciti ricavati dalla giurisprudenza e dati empirici di supporto

Gerardo Milani



Nel diritto penale l’accertamento processuale dell’intenzionalità dell’azione, posta in essere dall’imputato, incontra il limite del divieto al ricorso della perizia sulla personalità dell’imputato. La giurisprudenza, nell’interpretare la nozione di azione cosciente e volontaria che connota lo stato di consapevolezza, sembra attingere alla tradizione psicologica di stampo comportamentistico, secondo la quale, non essendo possibile indagare la coscienza di un soggetto, è possibile inferire la condizione interiore dell’agente solo tramite un’indagine empirica dei suoi comportamenti esteriori, ossia, del c.d. comportamento osservabile.

La Corte di Cassazione ha individuato gli indici descrittori del dolo quali criteri sintomatici, desunti da contrassegni comportamentali supportati principalmente da massime di esperienza. Sono parametri di giudizio ricavati da aspetti comportamentali che impongono al giudicante un’inevitabile indagine personologica dell’agente, posto che, nella valutazione dell’elemento intenzionale della condotta, assumono rilievo la personalità, la motivazione di fondo, gli stati affettivi, emozionali, l’ottimismo, il pessimismo, ossia, entrano nel campo cognitivo del giudice molteplici costrutti di natura psicologica che tuttavia non potrebbero accedere alla piattaforma probatoria tramite la prova scientifica, atteso il divieto di perizia psicologica dall’art. 220 c.p.p..

La ricerca svolge una riflessione sulle opportunità che la psicologia forense e le neuroscienze giuridiche possono offrire, apportando la conoscenza di costrutti teoretici scientificamente validati, a cui attingere quali strumenti di indagine utili all’effettivo accertamento dell’elemento psicologico del reato e in grado di integrare il giudizio di attribuzione della responsabilità, altrimenti basato su mere massime di esperienza.


bottom of page