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Valutazione clinica o forense: quale conta di più nel processo?

Francesca Baraldi

Eleonora Landi

Elena Villa


Nell’ambito del tirocinio professionalizzante in psicologia presso la Fondazione Guglielmo Gulotta abbiamo potuto osservare casi riguardanti la materia civile e penale. Questo ci ha permesso di osservare come la psicologia forense possa avere un ruolo dominante all’interno dei Tribunali. In particolare, abbiamo partecipato al controesame e all’arringa di un processo penale riguardante un presunto abuso sessuale da parte del padre sulla figlia minore di anni quattro. Da questa osservazione ne abbiamo tratto delle riflessioni: spesso in queste vicende si parla di fatti quando in realtà sarebbe più corretto definirli fattoidi. Infatti, accade che di fronte a un evento ambiguo si costruisca un’intera vicenda mai accaduta, costituendosi perciò come fatto pur non essendolo. In ambito penale da un fraintendimento si può giungere a una denuncia di abuso sessuale e per questo è doveroso che i professionisti nel campo conoscano appieno le prassi necessarie affinché ciò non avvenga. Per noi psicologi forensi è fondamentale comprendere quanto in sede processuale la valutazione forense sia differente da quella clinica: cambiano diversi aspetti, tra cui il fatto che il perito debba tener conto di diverse fonti di informazioni, come evidenze processuali, e non basarsi unicamente su quanto raccolto durante le operazioni peritali, poiché così facendo potrebbe accadere di omettere fatti reali utili alla comprensione della vicenda. Nello specifico, abbiamo evidenziato come nel caso da noi preso in esame sia avvenuto, ad esempio, nell’analisi dei disegni della bambina.

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