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La verità nascosta: come la psicologia forenseha svelato un riconoscimento sbagliato del testimone

Irene Rossetti


Il riconoscimento facciale, anche se condotto secondo le raccomandazioni della comunità scientifica, è ancora oggi una procedura ad alto rischio d’errore giudiziario. Gli errori d’identificazione rimangono una delle principali cause di condanna di innocenti, perché le leggi scientifiche e le conoscenze teoriche che favoriscono l’attendibilità di questo mezzo di prova, oltreché difficilmente praticabili, sono ancora poco diffuse tra magistrati, avvocati, e, talvolta, anche esperti della materia. Sono molti i fattori d’interferenza che rischiano di produrre tanti falsi positivi (innocenti condannati), tra cui, ad esempio, il comportamento dell’intervistatore, il grado di sicurezza riferito dal testimone, i tempi di risposta, la traslazione inconscia, la razza e la distanza del sospettato. Ecco perché le conoscenze scientifiche in materia di psicologia della testimonianza volte a stimare l’accuratezza del testimone nei processi di riconoscimento del sospettato come colpevole possono dare un contributo decisivo nei processi giudiziari. Attraverso la presentazione di un caso da me seguito che ha portato all’assoluzione dell’imputato, illustrerò come la consulenza tecnica psicologica (un’attenta analisi dell’audizione della parte offesa vittima di molestie sessuali e, in particolare, della metodologia con cui è stato effettuata la ricognizione facciale) sia stata decisiva nel comprendere l’effettiva valenza probatoria della procedura di ricognizione di persona e, conseguentemente, nel favorire un giudizio sull’attendibilità e la validità del procedimento di riconoscimento.

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