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La testimonianza della vittima vulnerabile e il rischio di vittimizzazione secondaria


Dott.ssa Federica Ruggeri


La letteratura maggiormente accreditata identifica con il termine vittima qualsiasi “persona che, individualmente o collettivamente, ha sofferto una lesione, incluso un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva, perdita economica o una sostanziale compressione o lesione dei propri diritti fondamentali attraverso atti od omissioni che siano in violazione delle leggi penali operanti all’interno degli Stati membri”[1]. In questa cornice, la vittima vulnerabile[2] è chi, per le caratteristiche legate al soggetto (età o infermità) o al tipo di violenza, ha subito un trauma in conseguenza del reato e rischia di essere indotto alla cosiddetta vittimizzazione secondaria[3]. Nel tempo, il concetto di vittima vulnerabile è stato esteso non solo ai minorenni vittime di reato, ma anche a soggetti affetti da infermità mentali e a individui – anche adulti – vittime di reati sessuali, maltrattamenti, violenza domestica, mutilazioni genitali, riduzione in schiavitù, mafia e terrorismo. Le condizioni di particolare vulnerabilità devono quindi essere desunte, oltre che dall’età e dall’eventuale stato di infermità psichica, dal tipo di reato e dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede.

La prospettiva ampliata del concetto di vittima vulnerabile ha portato a importanti innovazioni anche per quanto concerne l’assunzione della sua testimonianza, in particolare:

- La possibilità di richiedere l’incidente probatorio con audizione protetta tutte le volte in cui trattasi di persona di “particolare vulnerabilità” anche se maggiorenne;

- L’eventualità che, nel caso in cui si renda necessario l’esame della vittima vulnerabile, il Giudice possa disporre l’adozione di modalità protette (es. esame schermato con specchio unidirezionale, esame condotto dal presidente o protetto secondo le forme previste dall’art. 398, co. 5-bis c.p.p.);

- La forte tutela garantita alla vittima particolarmente vulnerabile durante la sua audizione, sia essa svolta durante le indagini, in incidente probatorio o in seno al dibattimento[4].

Occorre, ad esempio, far sì che il testimone vulnerabile non sia costretto a rivivere ripetutamente, deponendo più volte nel corso del procedimento penale, il fatto traumatico del quale è stato vittima e che, in ogni caso, la sua audizione sia caratterizzata da modalità volte ad assicurare la sua protezione e al contempo l’acquisizione di una prova dichiarativa genuina e accurata[5], assicurando altresì che la persona offesa vulnerabile non abbia contatti con l’autore del reato.

L’audizione in ambito giudiziario, in qualsiasi fase processuale essa avvenga, si pone quindi in linea con una duplice necessità: da un lato, garantire la primaria finalità del processo penale, ossia l’accertamento dei fatti e delle responsabilità nel rispetto del contraddittorio, dall’altro lato garantire che l’escussione avvenga con una specifica attenzione al fine di proteggere la vittima vulnerabile da qualsiasi azione possa nuocerle a livello di stress emozionale[6].


Per quanto riguarda le metodologie di intervista con specifico riferimento all’esame testimoniale di persone minorenni, si rimanda alle Linee Guida Nazionali – L’ascolto del minore testimone[7] e alle indicazioni contenute nei principali protocolli scientifici in materia di testimonianza quali la Carta di Noto IV[8] e le Linee Guida SINPIA[9] in cui vengono riportate le buone pratiche necessarie al fine di garantire una raccolta della testimonianza genuina e con il minor numero di contaminazioni.

In particolare, viene affermata la necessità che “ogni accertamento tecnico sul minore dovrebbe rispettare le seguenti regole minime: a) ridurre il più possibile il numero delle audizioni; b) garantire che gli incontri avvengano con modi e luoghi tali da assicurare la serenità del minore; c) rendere espliciti al minore gli scopi del colloquio, tenuto conto dell’età e della capacità di comprensione; d) comunicare al minore che è libero di correggere l’intervistatore, che se una cosa non la ricorda non deve inventare la risposta ma può dire di non sapere o di non ricordare; e) audio e/o videoregistrare le interviste; f) nel caso di pluralità di esperti o osservatori fare ricordo, salvo che non sia possibile, allo specchio unidirezionale o ad altri strumenti di osservazione a distanza; g) adottare modalità poco “pressanti” di intervista ed evitare, in particolare, il ricorso a domande suggestive o che diano per scontata la sussistenza di fatto oggetto di indagine; h) le modalità d’intervista devono attenersi ai protocolli di buona pratica suggeriti dalla letteratura internazionale; i) verificare le modalità in cui si sono svolte le interviste precedenti. Tali accorgimenti dovrebbero essere assunti, ove possibile, in tutte le fasi di ascolto del minore, sia in corso di audizione protetta durante un incidente probatorio, sia in sede di raccolta delle sommarie informazioni testimoniali” (cfr. Linee Guida Nazionali, linea guida n. 3.10).

Inoltre, tutti i protocolli in materia di testimonianza del minore presunta vittima di abuso sessuale prevedono che il minore venga sentito in epoca prossima ai fatti e alla denuncia, in modo da cristallizzarne le dichiarazioni e quindi il ricordo, e che non vengano disposte – salvo particolari esigenze – ulteriori sue audizioni al fine di evitare un indebito inquinamento della prova dichiarativa.

Numerosi studi[10] sottolineano gli errori che si possono commettere nella conduzione di un colloquio finalizzato alla raccolta della testimonianza di minori e adolescenti in ambito giudiziario, tra cui l’utilizzo di domande suggestive, incalzanti, inducenti, inappropriate o l’atteggiamento preconcetto della persona che conduce il colloquio.

Lo stesso ragionamento vale per quanto concerne l’esame della vittima-testimone adulta: Monzani[11] spiega che, in punto di tutela della persona offesa nel corso del suo esame, per evitare di provocare ulteriori sofferenze alla vittima sarebbero sufficienti alcuni accorgimenti quali, tra i tanti, che il Giudice “tutelasse la vittima durante il controesame ammettendo solo le domande ritenute utili ai fini processuali e non particolarmente traumatiche (…) in casi particolarmente delicati, potrebbe decidere di esaminare la vittima personalmente, evitando l’intervento e l’esame delle parti: egli formulerebbe soltanto domande utili all’accertamento dei fatti e solo se non risulteranno traumatiche per la vittima”.

Sul punto, una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione[12] in tema di esame incrociato stabilisce che “il divieto di formulare domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte, nel duplice senso delle domande “suggestive” – nel significato che il termine assume nel linguaggio giudiziario di domande che tendono a suggerire la risposta al teste ovvero forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall’esaminatore, anche attraverso una semplice conferma – e delle domande “nocive” – finalizzate a manipolare il teste, fuorviandone la memoria, poiché gli forniscono informazioni errate e falsi presupposti tali da minare la stessa genuinità della risposta – è espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del teste, in quanto tale parte è ritenuta dal legislatore interessata a suggerire al teste risposte utili per la sua difesa. A maggior ragione, detto divieto deve applicarsi al giudice al quale spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte ai sensi del comma 6 della medesima disposizione (Sez. III, n. 7373 del 18.01.2012, B, Rv. 252134; Sez. III, n. 25712 del 11.05.2011, M, Rv. 250615)”. Tale principio era già stato assunto per quanto concerne l’esame del teste minorenne, estendendo il divieto di domande suggestive anche al Giudice, ma anche il testimone adulto – per di più nel caso di adulto persona offesa di reati sessuali – è spesso un testimone fragile: gli è richiesto di evocare e raccontare qualcosa avvenuto nel passato in un contesto a lui estraneo, alla presenza del presunto autore di reato, con possibili conseguenze di carattere penale se è impreciso o sbaglia. Anche le Linee Guida Psicoforensi, statuite nel novembre 2013 da una commissione scientifica interdisciplinare di avvocati, magistrati, psicologi, psichiatri, recitano che “Nella gestione delle udienze dibattimentali è opportuno che il Giudice non ponga domande induttive o suggestive”[13].


Secondo la prospettiva della psicologia forense, il termine suggestivo concerne un coacervo di domande di tipo tendenzioso che, più o meno implicitamente, affermano più di quanto non chiedano, spesso nel loro stesso presupposto. Analizzando il tutto secondo la psicologia della comunicazione, il presupposto si può definire come la premessa non dimostrata della domanda, ossia la condizione logica preliminare per poter porre una domanda valida che possa ricevere una risposta che ne soddisfi le richieste, confermando così implicitamente il presupposto. Alcuni studi[14] hanno dimostrato che il comportamento generale delle persone nel rispondere a domande contenenti un presupposto falso, più o meno intenzionalmente implicito, risulta nel senso di confermarlo, piuttosto che correggerlo, ratificando così il vizio della domanda stessa. La causa di questo atteggiamento risiede sia nella forza logico-linguistica del presupposto, sia nelle regole sociali: per dimostrare la propria disponibilità, o spesso per timore reverenziale, si ritiene più utile rispondere a una domanda, piuttosto che dichiararne la falsità del presupposto. Gulotta[15] ha illustrato come “in ambito di persuasione quanto più la fonte è autorevole, tanto più è credibile e tanto più è potente ed efficace il suo impatto persuasivo; è ovvio ritenere che proprio per la percepita autorevolezza del magistrato la possibilità di inquinamento dei ricordi può essere maggiore e la forza implicativa delle domande che il giudice propone può creare se non delle false memorie almeno un effetto di trascinamento/accondiscendenza”.


Quindi, lo scopo dell’audizione della vittima vulnerabile secondo modalità protette è quello di ridurre quello stress inevitabile, causato alla vittima-testimone dalle dichiarazioni rese in dibattimento, attenuando il trauma della rievocazione di episodi che, data la natura dei reati presumibilmente subiti, fanno riferimento alla vita privata e incidono sulla dignità del soggetto[16]. La norma prevede tuttavia che il Giudice consenta ugualmente alle parti, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, di condurre loro l’esame della vittima-testimone, purché esso sia fatto con le dovute cautele e nel rigoroso rispetto delle norme etico-deontologiche.


Il termine vittimizzazione secondaria fa proprio riferimento a situazioni che portano la vittima a “rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta, ed è spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti ad una denuncia, o comunque all'apertura di un procedimento giurisdizionale[17].

Le conseguenze individuali dell’essere stata vittima di reato si possono, infatti, distinguere in[18]:

- Vittimizzazione primaria, diretta conseguenza dell’azione vittimizzante (ad es. evidenti cambiamenti nello stile di vita, riduzione delle attività sociali, cambi di residenza, etc.);

- Vittimizzazione secondaria, legata ai diversi tipi di reazione alle quali la persona vittima di reato va incontro, anche attraverso processi di vittimizzazione processuale o giudiziaria: la vittima di reato chiamata a testimoniare può riportare dei traumi psichici sia per l’essere costretta a rivivere l’esperienza dolorosa sofferta in precedenza, sia per la natura dell’esperienza processuale che deve vivere e pertanto, se non viene adeguatamente protetta e tutelata, può patire una ulteriore vittimizzazione[19].


Numerosi sono gli studi[20] che sottolineano i molteplici rischi di vittimizzazione secondaria derivante dalle esigenze processuali[21]:

- Essere esaminata numerose volte, da troppe persone e in luoghi non adeguati: ciò implica rivivere ripetutamente le esperienze subite, spesso traumatiche, con una conseguente amplificazione degli stati d’animo connessi;

- Modalità di conduzione dell’assunzione della testimonianza: spesso viene messo in dubbio ciò che la vittima-testimone ha vissuto e talvolta vengono indagati aspetti della sua vita privata quali, ad esempio, quelli relativi allo stile di vita, alla reputazione, alla moralità, alla religione, etc.;

- Modalità invasive e incoerenti con il suo stato psicologico e le sue caratteristiche evolutive, personali e familiari;

- L’incontro con il presunto autore di reato: ciò specialmente se il legame vittima-autore di reato familiare o sentimentale, può causare ritrattazioni o negazioni di quanto accaduto;

- Durata del procedimento penale e clamore mediatico.


Da qui la necessità di misure di tutela specifiche volte a proteggere la vittima dal rischio di vittimizzazione secondaria, ovvero dal rischio di danni psicologici ed emotivi conseguenti all’impatto tra il reato subito e il sistema penale[22]. Nel caso dei testimoni minorenni, inoltre, molti studi hanno dimostrato come, oltre allo stress che chiunque vivrebbe, tale disagio possa aumentare in presenza di altri aspetti quali, ad esempio, la difficoltà di comprendere la modalità con cui viene condotta l’audizione e il linguaggio che viene utilizzato[23].

La metodologia di ascolto utilizzata da chi si avvicina al testimone vulnerabile (o testimone fragile) deve pertanto necessariamente tenere in considerazione, in ogni fase del procedimento penale, tutti i livelli di rischio a cui è esposta la persona da ascoltare, sia quelli personali che quelli legati alle caratteristiche del reato in cui si trova coinvolta, sia quelle situazionali, al fine di evitare il rischio di una vittimizzazione secondaria.



[1] Risoluzione delle Nazioni Unite, n. 40/34 del 29.11.1985 [2] Declaration of basic principles for victims and abuse of power”, in “The protection of collective victims, Paris, 1988. [3] Cfr. il contenuto della “Decisione quadro del consiglio d’Europa sulla posizione della vittima nel procedimento penale”, Documenti ufficiali, www.europa.eu.it. [4] Cfr. indicazioni contenute nel decreto legislativo n. 212/2015 [5] Ferrua P., 2017. La prova nel processo penale. Volume 1 – Struttura e procedimento, G. Giappichelli, Torino [6] De Leo G., Patrizi P., 2002. Psicologia Giuridica, Il Mulino, Bologna; Monteleone M, Cuzzocrea V., 2016. Le dichiarazioni delle vittime vulnerabili nei procedimenti penali, Processo penale e Giustizia, 1, G. Giappichelli, Torino [7] Gulotta G., Camerini G.B., 2014. Linee Guida Nazionali. L’ascolto del minore testimone, Giuffrè, Milano [8] AA.VV., 2017. Carta di Noto, IV edizione [9] Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), 2007. Linee guida in tema di abuso sui minori, Erickson, Trento [10] Mazzoni G., Rotriquenz E., 2012. La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori, Giuffrè, Milano. [11] Monzani M., 2010. Le vittima in-credibili. Elementi di psicologia forense e della testimonianza, Collana di scienze criminologiche e investigative, ScriptaWeb, Napoli. [12] Cass. Pen., Sez. IV, n. 15331/2020 [13] Gulotta G., 2018. Innocenza e colpevolezza sul banco degli imputati. Commento alle linee guida psicoforensi per un processo sempre più giusto, Giuffrè Editore, Milano, pp. 281-283. [14] Gulotta G., 1990. Strumenti concettuali per agire nel nuovo processo penale. Metodologia giudiziaria, Giuffrè Editore, Milano, pp. 184-185. [15] Gulotta G., 2020. Divieto di domande suggestive anche per il Giudice. Commento a Cass. Sez. IV, 16 febbraio 2020 (dep. 19 maggio 2020), n. 15331, in Sistema Penale. [16] Camerini G.B., Di Cori R., Sabatello U., Sergio G. (a cura di), 2018. Manuale psicoforense dell’età evolutiva, Giuffrè, Milano [17] Cass., 17 novembre 2021, n. 35110 [18] Fornari U., 2018. Trattato di psichiatria forense, Tomo Primo, Settima Edizione, Wolters Kluwer [19] Martucci P., 2003. Vittima del reato, in Enciclopedia giuridica Treccani, XI, Agg., Roma [20] Brannon L.C., 1994. The trauma of testifying in court for child victims of sexual assault v. The accused’s right to confrontation, Law and Psychology Review, 18; Dettore D. Fuligni C., 2008. L’abuso sessuale sui minori, Mc Graw-Hill, Milano; Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), 2007. Linee guida in tema di abuso sui minori, Erickson, Trento [21] Holmstrom L.L., Burgess A.W., 1975. Rape. The victime and the criminal justice system, in International Journal of Criminology and Penology, 3, pp. 101-110; Cuzzocrea V., Scali M., Spizzichino E., 2021. Le vittime nel processo penale. Dall’ascolto alla valutazione psicologico-giuridica: aspetti descrittivi, strumenti operativi e buone prassi, FrancoAngeli, Milano; Ferrua P., 2017, ibidem [22] Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25 ottobre che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI [23] De Leo G., Scali M., Caso L., 2005. La testimonianza. Problemi, metodi e strumenti nella valutazione dei testimoni, Il Mulino, Bologna; Scali M., Calabrese C., Biscione M.C., 2003. La tutela del bambino o adolescente: le tecniche di ascolto, Carrocci, Roma


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