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Indagare la memoria per rilevare il ricordo vero:

Approcci neuroscientifici per affrontare il problema della memory detection


Andrea Zangrossi

Maurizio Corbetta

Giuseppe Sartori


Determinare se un periziando ricordi un fatto o un luogo preciso (es., la scena del crimine) è una questione di estrema importanza in contesto forense. Nonostante un imputato possa mentire in proposito, tale informazione è contenuta nei suoi circuiti cerebrali e può essere identificata indipendentemente dal comportamento esplicito.

Nel caso del ricordo della scena del crimine, ciò è possibile perché il riconoscimento di una scena visiva (es., una foto della scena) è un processo altamente automatizzato nel nostro cervello (Ryan et al., 2007; Brown & Aggleton, 2001). In un primo studio (Zangrossi et al., under submission) abbiamo sottoposto a risonanza magnetica funzionale (fMRI) un campione di partecipanti che osservavano stanze conosciute o a loro ignote e dimostrato che l’attività di alcune aree del cervello consente di determinare se le persone fossero o meno state in una stanza specifica con l’80% di accuratezza.

Tuttavia, nella pratica forense non sempre è possibile sottoporre i periziandi a risonanza magnetica funzionale, per cui è necessario individuare delle tecniche comportamentali adatte a questo scopo.

Studi recenti dimostrano che la presenza/assenza di uno specifico ricordo è rintracciabile anche con tecniche comportamentali come l’autobiographical Implicit Association Test (Sartori et al., 2008; Zangrossi et al., 2015; per una review si veda Agosta et al., 2013) ma anche attraverso lo studio dei movimenti oculari o della dilatazione pupillare (Ogawa et al., 2022; Zangrossi et al., in preparation).

Questi studi suggeriscono la possibilità di utilizzare tecniche comportamentali per determinare la presenza di un ricordo autobiografico, anche in maniera covert, i.e., senza richiedere una risposta esplicita da parte dell’esaminando.

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