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Il mediatore familiare come consulente psicoforense (trial consultant)

Laura Lombardi




Non siamo liberi di scegliere quello che ci accade, però siamo liberi di scegliere come reagire a quello che ci accade

(J.P. Sartre)





Definizione di trial consultation

In Italia, la consulenza psicoforense – nota nei Paesi anglosassoni come trial consultation – ha conosciuto finora uno scarso sviluppo. In altri Paesi al contrario, in particolare negli Stati Uniti, è divenuta una realtà sempre più consistente: solamente vent’anni fa questa occupazione era estremamente rara, ma oggi il numero di trial consultants è decisamente aumentato e la consulenza psicoforense costituisce un settore in forte espansione. L’importanza e le potenzialità di tale attività sono state evidenziate per la prima volta - almeno al grande pubblico - nel famoso processo a O.J. Simpson, divenuto rapidamente l’emblema dell’importanza di avvalersi di un team esperto in selezione della giuria per ottenere un verdetto favorevole. Il famoso giocatore di football americano, accusato nel 1994 di aver ucciso la moglie ed il suo amante, ottenne infatti una sentenza di assoluzione dalle gravissime accuse - nonostante un pesante carico indiziario nei suoi confronti - probabilmente proprio grazie all’oculata selezione della giuria operata dagli esperti di cui si avvalsero i suoi legali. Come è noto, infatti, nei Paesi di Common Law la giuria popolare, cui è affidato il verdetto nei confronti dell’imputato, è selezionata dall’accusa e dalla difesa attraverso la conoscenza preliminare dei potenziale giudici, i cui preconcetti, opinioni, abitudini, stili di vita, etc... vengono indagati al fine di ottenere una composizione della giuria il più possibile favorevole, ovvero un collegio giudicante che si ritiene - in base al profilo testato attraverso l’impiego di giurie simulate - possa essere maggiormente incline ad accogliere la tesi che si vuole sostenere ed infine ad emettere la sentenza desiderata. Nel processo a O. J. Simpson, l’omicidio della giovane Nicole Brown e dell'amico Ronald Goldman erano da intendersi, secondo l’accusa, come l’epilogo di una lunga serie di violenze domestiche perpetrate dal celebre giocatore di football, descritto come abitualmente manesco e violento nei confronti della moglie, già denunciato più volte dalla stessa e mai rassegnato alla separazione. Entrambe le équipe di consulenza, dell’accusa e della difesa, si resero conto - attraverso l’utilizzo di giurie simulate - che, in maniera del tutto inaspettata e controintuitiva, le donne afroamericane erano meno propense a collegare automaticamente i maltrattamenti domestici all’omicidio, mostrando di considerare le violenze fisiche tra le pareti di casa non troppo deplorevoli. Il procuratore distrettuale decise di non affidarsi alle conclusioni dei suoi consulenti, ma si sbagliò: la giuria, composta prevalentemente da donne afro-americane assolse, dopo sole tre ore di camera di consiglio, l’imputato, confermando quindi la bontà delle tesi espresse dai trial consultants.

Come è possibile verificare anche attraverso i molteplici siti Internet che offrono servizi di consultazione psicoforense, in America le attività di un trial consultant - diverse dalla selezione delle giurie - sono molteplici. Tra le più richieste troviamo l’impiego delle giurie simulate ai fini di implementare le strategie difensive più efficaci: in questi casi il team di esperti si avvale di una giuria “simile” (per composizione socio-demografica) a quella reale e attraverso la simulazione del processo individua le argomentazioni e gli stili argomentativi maggiormente convincenti e quindi potenzialmente più efficaci nel persuadere la giuria reale. Un’altra attività molto richiesta è la preparazione del testimone (witness preparation), che consiste nella pianificazione della deposizione del teste (rispetto ai contenuti, ma naturalmente anche rispetto alle modalità) e naturalmente del contro-esame, attraverso un vero e proprio allenamento del soggetto che sarà sottoposto al fuoco della cross-examination avversaria. Una variante di tale attività è la preparazione del consulente tecnico (expert witness preparation), la cui credibilità è oggetto di puntigliosa verifica e tenace accanimento da parte dell’avversario. Un altro settore di intervento è costituito dalla ricerca sulla petril publicity, ossia la valutazione dell’impatto sulla giuria della diffusione a mezzo stampa di notizie relative al caso prima del processo: tale operazione consente di calibrare con cura il tenore delle dichiarazioni rilasciate ai giornalisti, nonché valutare l’opportunità di eventuali fughe di notizie, etc…


La trial consultation in Italia

In Italia, la consulenza psicoforense è un’attività allo stato, per così dire, embrionale: il ritardo, rispetto ai Paesi anglosassoni, dipende solo in parte dal diverso ordinamento – che nel nostro Paese non consente molte attività che sono invece previste e lecite negli Stati Uniti – mentre in maggiore misura è da ricondurre, a nostro avviso, ad una certa diffidenza con cui la psicologia è accolta nei Tribunali italiani. Nel nostro Paese, le professioni di avvocato e di psicologo sembrano procedere su cammini paralleli destinati ad incontrarsi solo occasionalmente durante perizie e consulenze tecniche. Seppur sia il diritto che la psicologia si occupano prevalentemente del comportamento umano le due comunità di studiosi si ispirano a presupposti diversi che lungi dal predisporre ad un dialogo integrativo tendono ad enfatizzare una pretesa reciproca di incompatibilità. Nonostante le paure immotivate e la sfiducia di un campo (il mondo giuridico) rispetto all’altro (il mondo psicologico), la psicologia giuridica è oggi un ambito di ricerca, di studi, di professionalità in grado di ricondurre a unità conoscenze e competenze provenienti dal sistema scientifico di appartenenza attraverso una funzione elaborativa che nel diritto e nella giustizia riconosce il proprio campo d’azione.

La consulenza psicoforense si manifesta come la concretizzazione di una stretta collaborazione fra psicologo ed avvocato; in questo caso il primo mette a disposizione del secondo tutta la sua conoscenza in ambito psicogiuridico, per molteplici attività, di natura pre ed extra processuale, tra cui: la deposizione dell’imputato, la preparazione del testimone esperto (perito o consulente in ambito psicologico), la redazione di note tecnico-scientifiche con riferimenti bibliografici ad uso del legale e di pareri tecnico-strategici, il supporto tecnico e scientifico nella preparazione dell’arringa, la preparazione e l’analisi dell’audizione protetta del minore, ecc…

La trial consultation si realizza, quindi, in una forma di collaborazione che l’avvocato può richiedere ad uno psicologo indipendentemente dal fatto che intenda nominarlo nel processo in qualità di consulente tecnico di parte. La consulenza psicoforense è, infatti, una forma di partecipazione più informale rispetto alla consulenza tecnica - ma potenzialmente molto proficua - che può essere utilizzata per fornire alle parti delle conoscenze specifiche per la gestione della causa. Queste conoscenze, come si dimostrerà successivamente, possono rivelarsi decisamente utili in ambito civile, ad esempio, nei casi di separazione e divorzio non consensuale dove si creano delle situazioni relazionali esasperanti sia per i coniugi che per i figli; l’intervento psicologico può andare al di là della consulenza tecnica per offrire all’avvocato e al cliente degli strumenti per l’accettazione e la gestione della situazione conflittuale in corso. In queste circostanze lo psicologo può dare chiarimenti ai clienti sul significato psicologico della separazione e del divorzio; rispondere a quesiti relativi agli effetti sui figli della separazione dei genitori; aiutare i coniugi a promuovere una riflessione sulle cause che li hanno portati alla separazione; aiutare il legale nell’attività di conciliazione laddove possibile o proporre altrimenti una mediazione.

In Canada, Stati Uniti e Australia (Degoldi B., 2008) si sta affermando la Interdisciplinary collaborative separation and divorce ovvero una modalità di risoluzione delle dispute tra coniugi in fase di separazione che prevede la collaborazione di avvocati (collaborative family lawyers), professionisti della salute mentale (psicologi/counselor) e clienti. Questo modello prevede un contratto tra i diversi attori finalizzato al raggiungimento di accordi soddisfacenti per entrambe le parti attraverso il rispetto di una serie di regole quali: sospensioni delle iniziative giudiziarie, rispetto tra le parti, attenzione al futuro e non al passato, focus sui bisogni e gli interessi dei minori, comunicazione onesta e basata sulla reciproca fiducia, ricerca delle diverse soluzioni e alternative, rinuncia preliminare degli avvocati a rappresentarli legalmente qualora non venisse raggiunto un accordo, etc.

Laddove il conflitto tra le parti è troppo acceso e non è possibile ricorrere a una qualche forma di mediazione o separazione collaborativa, una delle attività del trial consultant consiste nel coadiuvare il legale di una delle due parti nella redazione di un’istanza volta ad ottenere una perizia di carattere psicologico. A questo proposito sempre più frequenti sono le situazioni in cui un genitore lamenta gravi difficoltà di accesso al figlio per colpa dell’ex-coniuge, ritenuto responsabile di “boicottare” la relazione genitore-figlio. In molte di queste situazioni può essere utile una valutazione preliminare da parte del trial consultant che può rintracciare dagli atti processuali e da eventuali altre “prove” raccolte dal genitore (corrispondenza con l’ex-coniuge, registrazioni di telefonate con il bambino, etc…) segni di una possibile Sindrome da Alienazione Parentale (Gulotta, Cavedon e Liberatore, 2008) e quindi formulare al Giudice un’istanza perché disponga immediatamente una perizia volta a verificare le rispettive competenze genitoriali e l’eventuale esistenza di tale distorsione relazionale. Talvolta tale condizione si instaura dopo un certo periodo dalla separazione e quindi è possibile disporre di molto materiale da esaminare: il comportamento del figlio nei confronti del genitore non convivente e della famiglia estesa, stralci di telefonate tra il bambino e il genitore “alienato”, atti di causa, etc.

Anche in ambito penale l’intervento dello psicologo può rivelarsi indispensabile, per aiutare la vittima a superare il trauma o per preparare l’imputato o la parte civile ad affrontare il processo (Gulotta, 2002).

Un altro tipo di collaborazione potrebbe posizionarsi più su un versante strategico: lo psicologo esperto di dinamiche processuali potrebbe coadiuvare il legale a studiare il processo, a prendere decisioni in merito a quali testimoni presentare e a come presentarli, come contro-esaminare quelli della parte avversa, quali interpretazioni dare alle prove, che tipo di argomentazioni utilizzare durante l’arringa e così via.

La psicologia può, infatti, essere applicata nel processo in modo diretto o indiretto.

Direttamente può essere utilizzata in relazione ai suoi contenuti come scienza. Pensiamo ad esempio alla psicologia della testimonianza, la quale mostra come ciascuno di noi percepisca della realtà quegli aspetti più consoni ai propri criteri selettivi ed interpretativi: ecco perché di fronte ad uno stesso fatto due persone possono dare versioni diverse senza mentire e come addirittura siano “sospette” due versioni identiche di un medesimo fatto offerte da due testimoni diversi...

L’uso indiretto, invece, non si riferisce tanto ai contenuti, quanto ai modi di ragionare della psicologia. Le diverse teorie psicologiche possono avere una duplice funzionalità: da un lato essere viste come altrettanti modelli di concettualizzazione della condotta e di argomentazione sulla stessa” (Gulotta, 1987, p. 21) e dall’altro offrire all’avvocato degli strumenti per orientare il proprio lavoro nella scelta dei testimoni, nell’esame crociato, e così via. In ambito penale questo tipo di collaborazione potrebbe permettere al legale di utilizzare conoscenze psicologiche per scegliere tattiche e strategie processuali al fine di costruire una difesa puntuale ed efficace. Il processo italiano è infatti ispirato ad un modello accusatorio dove la prova si costruisce durante il dibattimento. Per ricostruire l’evento di cui si discute e per “spiegare, intenzionare e motivare le condotte dei protagonisti” (Gulotta, 2002, p. 1333), il legale avrebbe l’opportunità, mediante la consulenza psicoforense, da un lato di argomentare la propria interpretazione dei fatti con dei riferimenti di carattere psicologico che lo rendano più persuasivo e convincente, dall’altro di usufruire di nuovi strumenti psicologici per preparare gli interrogatori o per stendere l’arringa.

Un ambito di intervento che in una certa misura coniuga l’uso diretto e quello indiretto della psicologia applicata alle scienze forensi è la psicologia investigativa. Poiché la recente normativa consente agli avvocati di svolgere attività investigative, i difensori devono acquisire gli strumenti utili per cimentarsi in questo nuovo campo e per svolgere questo tipo di attività la psicologia può offrire strumenti utili. La psicologia investigativa viene definita come un metodo di studio dei fenomeni sociali (Gulotta, 1995; 2007); lo psicologo che osserva la vita quotidiana è una persona, quindi, che sa congetturare su ciò che sta avvenendo o su fatti accaduti basandosi su parametri della scienza sociale. Se il fenomeno sociale studiato è il crimine si può parlare allora di psicologia investigativa forense, che va intesa non solo per stabilire chi è l’autore sconosciuto di un crimine ed eventualmente come lo ha compiuto, ma anche per indagare i casi in cui è necessario comprendere il perché ciò sia avvenuto, in quali circostanze ed in quali condizioni psicologiche (Gulotta, 2008); predominante in questo caso sarà avere un supporto conoscitivo dei processi di pensiero che solo uno psicologo può dare.

Un importante ambito di intervento per lo psicologo forense è quello relativo alla psicologia della testimonianza, soprattutto in età evolutiva.

L’intervento dello psicologo con una formazione forense, oltre che clinica dell’età evolutiva, è opportuno ogni volta che, a diverso titolo, si renda necessario l’ascolto del minore nel processo penale: che si tratti dell’imputato, della vittima o del testimone. Fuori dalla perizia e dalla consulenza tecnica – in cui lo psicologo è chiamato a ricoprire la veste di ausiliario, perito del giudice o consulente di parte - la trial consultation può realizzarsi in altre attività. Innanzitutto nell’esame del testimone minorenne in indagini difensive: come è noto, infatti, il nostro ordinamento (artt. 391 bis e seguenti del c.p.p inseriti dalla L397/2000) oggi prevede per i difensori la facoltà di condurre indagini difensive riconoscendo loro la facoltà di assumere testimonianze. Così come accade quando il minore è sentito dalla polizia giudiziaria o dal Pubblico Ministero è ovviamente opportuno che anche il legale si avvalga di un ausiliario psicologo che lo assista nel delicato compito di interrogare un minore. Un’altra attività in cui può essere molto proficuo per il legale avvalersi del trial consultant riguarda la redazione di atti che richiedano conoscenze tecnico-scientifiche in materia di testimonianza minorile. Tra questi: la richiesta di audizione protetta del minore in Incidente Probatorio o di accertamento tecnico sulla capacità testimoniale del minore. Ai fini dell’accoglimento della richiesta, può essere infatti molto utile argomentare con riferimenti scientifici e bibliografici l’importanza di un’audizione tempestiva e secondo specifiche modalità, così come la necessità di una preliminare verifica delle effettive capacità mnestiche, cognitive e linguistiche del minore, presupposto imprescindibile della capacità testimoniale. In molti casi si rivela estremamente utile la preparazione anticipata dell’audizione protetta in incidente probatorio: non sempre, infatti, è consentito al consulente dell’avvocato assistere all’audizione e quindi intervenire attivamente affinché sia realizzata l’intervista secondo le migliori modalità. Quando l’audizione protetta in incidente probatorio si svolge al di fuori di una perizia, non sempre il consulente delle parti è ammesso in aula. In questi casi una pianificazione anticipata delle domande (sulla base di precedenti dichiarazioni rese, rintracciabili ad esempio nelle denunce, nelle SIT, etc.), ma soprattutto una nota tecnica sulle modalità con cui deve essere condotta l’intervista può essere molto utile al difensore. Talvolta è auspicabile la redazione di una serie di raccomandazioni tecniche e di domande da rivolgere al minore da depositare direttamente al Giudice. Un passo successivo consiste nell’analisi, nella valutazione e nell’eventuale critica di tutto il materiale audio-video relativo alle audizioni del testimone minorenne: naturalmente il materiale relativo all’incidente probatorio (che - come le principali linee guida in materia di raccolta della testimonianza raccomandano - è sempre videoregistrato) e laddove esista anche la registrazione di altre audizioni (ad esempio di polizia giudiziaria o del PM, ma anche eventuali registrazioni “domestiche”, spesso prodotte nel fascicolo processuale). A questo punto compito del trial consultant può essere quello di evidenziare eventuali errori di conduzione dell’intervista - quali la presenza di domande inducenti e suggestive - e valutare gli indicatori della credibilità clinica relativi all’intervista in oggetto: il comportamento non verbale del testimone, eventuali segnali di una possibile induzione esterna a riferire, ecc… Altra situazione piuttosto frequente è la richiesta di collaborazione nella redazione di parti di motivi d’appello aventi ad oggetto tematiche inerenti la psicologia della testimonianza e nello specifico l’analisi della testimonianza del minore: in questi casi deve essere strategicamente selezionata la letteratura scientifica di sostegno delle proprie argomentazioni e puntualmente utilizzata per evidenziare aspetti a proprio favore e criticare invece ciò che risulterebbe svantaggioso.

Nella redazione dei motivi d’appello il contributo dello psicologo può essere molto utile anche relativamente a molte altre tematiche di pertinenza psicologica, magari non evidenziate a sufficienza nel processo di primo grado. Di seguito alcuni quesiti con cui ci siamo confrontati nel nostro lavoro di trial consultants in ambito penale. L’approccio, anche per la singolarità di certe situazioni e degli emblemi scientifici che le connotano, richiede l’approfondimento di tematiche psicologiche a volte inusuali: dal riconoscimento di una sicura correlazione fra determinate emozioni emerse in singoli comportamenti non verbali, alla possibilità di sopprimere volontariamente aspetti della nostra memoria, dagli effetti che può creare il contagio sociale, alle dinamiche interne e alle caratteristiche intrinseche di particolari gruppi devianti (come ad esempio le sette sataniche), dalle implicazioni psicologiche della scelta di stipulare un’assicurazione sanitaria agli eventuali effetti dell’esposizione di immagini violente sul comportamento umano, ecc… Lo studio scientifico e la redazione di note tecniche sono, quindi, un florido campo applicativo della trial consultation che possono poi essere efficacemente utilizzate in diverse fasi e attività processuali

Per quel che concerne le attività, un ambito di applicazione della trial consultation riguarda - come abbiamo già anticipato – l’assistenza al legale nella preparazione della cross-examination. Nel sistema italiano chi si presenta al dibattimento (in qualità di testimone, imputato, parte civile ed esperto) può essere sottoposto a quattro tipi di esame: l’esame diretto, il controesame, il riesame e l’esame da parte del giudice. Tutte queste situazioni richiedono, nella dialettica processuale, un’adeguata preparazione che dia conto della complessità delle emergenze processuali e degli aspetti tecnico-scientifici. Molti sono i fattori che devono essere contemplati durante la preparazione dell’esame crociato. Lo psicologo giuridico può aiutare l’avvocato a pianificare la cross-examination, cioè cercare, per quanto possibile, di prevedere le possibili alternative di risposta generate da una stessa domanda, in maniera tale da acquisire quelle informazioni che saranno funzionali per sostenere e costruire la propria strategia difensiva. Per l’esame è importante organizzare una sequenza di domande che permetta di raggiungere l’obiettivo prefissato in modo chiaro e coerente. Nel controesame ovviamente la possibilità di raggiungere l’obiettivo è molto più complicata poiché chi fa le domande può solo ipotizzare ciò che l’esaminato ha intenzione di dire. Costruire una mappa della cross-examination è quindi funzionale allo scopo: cercando di prevedere le possibili risposte del teste, è possibile diminuire il margine di improvvisazione durante il dibattimento (Gulotta, 2003). Durante la cross-examination, inoltre, può essere utile per l’avvocato avvalersi della collaborazione dello psicologo per scegliere come formulare le domande, tenendo conto sia dei singoli elementi che le compongono, che dei fini e degli obbiettivi che si vogliono raggiungere formulandole. Tutto questo senza perdere di vista il contesto in cui la domanda è posta che, essendo caratterizzato da una forte e stressante disparità di ruoli, porta l’interrogato ad essere particolarmente sensibile a pressioni suggestive. Particolare importanza riveste l’aspetto pragmatico (Watzlavick et al., 1967), ossia come l’atteggiamento di chi pone la domanda incida sulla risposta dell’altro (Gulotta, 2003).

In particolare, l’assistenza del consulente psicoforense può essere di fondamentale importanza in tutti quei casi in cui a testimoniare sia un professionista dell’area psicologica (consulente tecnico del giudice o di parte, perito, terapeuta, psicologo dei servizi sociali, ecc…), nonché laddove l’esame del testimone sia finalizzato a mettere in luce aspetti psicologici rilevanti per comprendere la criminogenesi della vicenda. Avvalersi di una consulenza psicoforense per la preparazione dell’esame e del controesame di psicologi e psichiatri può permettere di utilizzare tattiche e strategie più pertinenti all’obiettivo che si intende perseguire.

Momento conclusivo del processo e interessante ambito di intervento per lo psicologo è infine l’assistenza al legale nella preparazione dell’arringa. Nel momento dell’arringa l’avvocato deve far emergere tutta la sua arte oratoria per cercare di sostenere e dare credibilità alla propria tesi difensiva. E’ tuttavia necessario ricorrere a precise strategie per catturare, focalizzare e mantenere l’attenzione dei Giudici: molto spesso, infatti, per il collegio giudicante può essere un vero sforzo cognitivo stare ad ascoltare per ore i difensori. Come può lo psicologo aiutare a superare questa impasse? L’esperto di scienze umane può supportare il legale attraverso l’analisi delle tecniche più utili per catturare l’attenzione, l’esame dei momenti nei quali presentare determinati documenti e soprattutto le determinazioni circa le modalità con cui esporli.

L’impiego di tecnologie multimediali da parte degli avvocati costituisce un’innovativa metodologia processuale in grado di integrare efficacemente il tradizionale ricorso, nel processo penale, alla retorica e alla produzione documentale scritta. Il consulente psicoforense si propone di assistere l’avvocato nella selezione, nell’elaborazione e nella realizzazione del materiale audiovisivo di cui avvalersi per accrescere l’efficacia dell’oratoria: grafici in grado di rendere immediata l’evoluzione o l’ampiezza di un fenomeno, immagini capaci di rendere visibili aspetti che più difficilmente risulterebbero chiari attraverso la descrizione linguistica, tabelle di confronto tra dichiarazioni fornite da diversi testimoni su un medesimo tema o da uno stesso testimone in momenti differenti, nonché stralci di audizioni in Incidente Probatorio o di intercettazioni ambientali.

L’impiego di materiale audio-video durante l’arringa - video, grafici, diagrammi, audio, stralci di incidenti probatori, indagini difensive, intercettazioni ambientali, etc. - non solo incuriosisce e quindi aiuta a mantenere e stimolare l’attenzione degli interlocutori, ma incide altresì in termini di persuasione.

Le immagini hanno notevole importanza probante poiché permettono di catturare percettivamente e di fissare in memoria gesti, movimenti oculari, movimenti del corpo, pause ed altri atteggiamenti che rivelano stati psicologici ed emozioni dell’individuo o della situazione in esame. Tutti questi elementi vanno inevitabilmente ad influire nel processo decisionale del giudicante.

Ogni essere umano è, infatti, portato ad economizzare il proprio pensiero, attraverso strategie ed euristiche, pertanto, ogni informazione presentata in una modalità già di per sé semplificata (come potrebbe essere uno schema grafico) viene prontamente percepita, compresa ed immagazzinata in memoria. Oltre a ciò, l’efficacia dei grafici è anche riconducibile alla naturale tendenza dell’uomo a “spazializzare” i problemi complessi, come quelli di ragionamento (Berthoz, 2004). Quindi, poiché coloro che dovranno giudicare si trovano nella condizione cognitiva di percepire, comprendere e valutare diverse versioni delle stesso fatto, il più delle volte opposte, ma entrambe con gli stessi supposti valori di credibilità, presentare un evento già organizzato in modo spaziale aumenterà la probabilità di venire meglio compreso, preconfezionando un percorso mentale dell’informazione (Berthoz, 2004).

In un’ottica strategico-difensiva, l’uso di tecniche multimediali accresce notevolmente il portato informativo, non solo perché una sola immagine può valere quanto mille parole e l’esposizione reale, dal vivo, all’oggetto può valerne migliaia di più ancora (Nisbett, Ross, 1989), ma anche perché conduce l’osservatore ad arrivare per proprio conto alle conclusioni prospettate dall’emittente. Questo è un aspetto di particolare rilievo, posto che ognuno di noi è maggiormente disposto a credere alle proprie bugie che alle verità degli altri (Gulotta, Puddu, 2004).

La Giustizia non può quindi, per definizione, operare prescindendo dall’Uomo, dalla conoscenza dei suoi processi emotivi, affettivi, cognitivi, comportamentali, motivazionali, relazionali. Non può prescindervi perché umane sono le denunce, le cause e i procedimenti giudiziari; umane sono le dinamiche degli eventi indagati e le loro ripercussioni; umane sono le prove e le testimonianze raccolte, gli errori conoscitivi e valutativi, le tesi e le argomentazioni formulate; umano è il linguaggio utilizzato; umani sono i ruoli e i conflitti processuali, i codici di legge e le loro interpretazioni; umani sono i giudizi, le decisioni della corte e le loro implicazioni.

Sia il diritto che la psicologia si occupano prevalentemente del comportamento umano: l’uno per indicare ciò che è lecito e ciò che è vietato e per dare al giudice gli elementi necessari al fine di precisare le responsabilità individuali, l’altra - la psicologia - per spiegare la condotta umana, i processi psicologici che regolano la vita dell’Uomo, le sue scelte, le motivazioni, le sue condotte, le responsabilità, le regole sociali, i rapporti interpersonali (Gulotta, 2002).


La figura del mediatore familiare all’interno della trial consultation

Chi si rivolge ad un avvocato per una separazione chiede un aiuto più globale, finendo per accreditare all’avvocato un ruolo ben superiore e diverso da quello che sono le sue competenze. La persona che deve affrontare la fine del suo rapporto coniugale si trova di fronte a sentimenti, emozioni, ansie e difficoltà relazionali che combattono con la necessità di riorganizzazione del proprio futuro, in un momento in cui la conflittualità fra i coniugi è forte e la comunicazione difficile.

Gli avvocati più sensibili a questo aspetto cercano di arrabattarsi tra consigli e senso comune, ma spesso questo non basta, poiché serve la competenza di un esperto in materia che fin dai primi incontri con i rispettivi clienti collabori con il legale affinché faccia comprendere alle persone implicate in queste cause cosa sta succedendo loro, come poter affrontare il momento di particolare crisi e come farlo superare non solo agli adulti, ma anche ai loro figli. Risulta, quindi, fondamentale una collaborazione tra psicologo/mediatore ed avvocato che va al di là della specifica esigenza di attuare una mediazione o una consulenza, poiché l’esperto in relazioni familiari e diritto, attraverso le sue conoscenze ed il suo sapere può aiutare i vari protagonisti della vicenda (compresi gli avvocati) a far fronte in modo consapevole, responsabile e maturo delle complicate dinamiche che emergono durante una separazione.

Come precedentemente sottolineato l’esperto in questo campo può dare, ad esempio,:

Ø chiarimenti ai clienti sul significato psicologico della separazione e del divorzio;

Ø chiarimenti rispetto agli effetti sui figli;

Ø collaborazione nel risalire alle cause che hanno portato i coniugi alla separazione;

Ø aiuto nell’attività di conciliazione, se possibile, altrimenti di mediazione;

Ø collaborazione in relazione ad eventuali istanze volte ad ottenere una perizia di carattere psicologico;

Ø collaborazione per il raggiungimento del cosiddetto “divorzio psichico”.


Sappiamo, infatti, che con la separazione ed il divorzio si pone fine alla coppia coniugale, ma non a quella genitoriale, così come sappiamo che questa fase è un processo evolutivo che porta inevitabilmente la famiglia ad una nuova organizzazione, ma per far sì che questo accada i protagonisti devono essere consapevoli di quanto sta loro succedendo; spesso, però, le persone affrontano tale fase con inconsapevolezza e forti timori, per questo motivo fondamentale diventa la presenza di una figura professionale che sappia condurli. Sotto questa veste il mediatore familiare assume ed è portatore di nuove conoscenze su tutto ciò che concerne il mondo della famiglia e la sua riorganizzazione a seguito di una separazione.

In questo contesto verranno spiegati in modo più specifico gli ambiti per cui la figura del mediatore, quale consulente psicoforense, può essere d’aiuto nel fare chiarezza, sia al cliente sia all’avvocato, rispetto a tutta una serie di tematiche che possono emerge durante il lungo processo di disunione, in particolare nella fase iniziale, quando ormai si è decisi nel separarsi ma non si sa come andare avanti.



Implicazioni dell’affidamento condiviso

Nonostante il mediatore conosca la nuova normativa in campo di diritto familiare, non è tanto compito suo spiegarla a livello giurisprudenziale (compito, infatti, spettante all’avvocato), ma piuttosto far capire ai genitori che sono in procinto di separarsi cosa implica per loro ed i loro figli questa nuova disciplina, quale cambiamento ha portato rispetto ai loro ruoli genitoriali.

La legge n.54, entrata in vigore l’8 febbraio 2006 all’art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli) cita

Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli, relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1. le attuali esigenze del figlio;

2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

4. le risorse economiche di entrambi i genitori;

5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».

Con il nuovo termine affidamento condiviso si sottolinea, quindi, la partecipazione di entrambi i genitori alla cura e all’educazione dei figli; l’affido dei figli viene dato di regola ad entrambi i genitori, riconoscendo il diritto dei minori a mantenere rapporti continuativi e significativi con gli ambiti parentali delle due famiglie, attuando una flessibilità della frequentazione in base ad accordi prestabiliti che obbligano la presenza e partecipazione attiva sia della madre che del padre e conservando l’esercizio della patria potestà per entrambi i genitori che mantengono in questo modo in egual misura (rispetto al loro status economico ovviamente) i compiti di cura e mantenimento dei propri figli.

Questo tipo di affidamento è stato voluto dal legislatore per un concreto svolgimento del ruolo genitoriale da parte di tutti e due i coniugi e per consentire al figlio di vivere un rapporto filiale con entrambi i genitori. Per questo l’esperto, mediatore e consulente psicoforense dell’avvocato, può far capire che il canale del dialogo fra gli ex partner, per questo tipo di affidamento, deve essere spianato, liberato da ostacoli estranei all’interesse del figlio, anche se profondamente radicato nell’animo dei genitori; se mancano le premesse per riconoscere l’altro, non più come proprio compagno, ma come genitore del proprio figlio, allora fin da subito è bene consigliare al cliente una mediazione familiare che favorisca il ripristino di una comunicazione responsabile fra i due. Ovviamente non sarebbe il consulente stesso a proporsi quale mediatore, ma il caso dovrebbe essere affidato ad un collega.

Se invece si nota nelle persone solo un senso di disorientamento rispetto a quanto sta per affrontare il mediatore-consulente può dare delle chiare direttive, delle chiavi di lettura su questa fase critica di passaggio. Poiché l’affido condiviso, in qualche modo, introduce a livello pubblico e normativo una sorta di famiglia “indissolubile” (Giannella, Palumbo, Vigliar, 2007), per quel che concerne le responsabilità che rimangono tra i partner e nel rapporto con i figli nell’interesse di quest’ultimo, è bene quindi spiegare fin da subito quali sono i punti nodali nella fase di separazione che devono essere affrontati per non far soffrire più del dovuto l’intero nucleo familiare.


Il nodo della conflittualità

La pace è nella nostra cultura, il conflitto non piace, si cerca di evitare, lo si fa tacere; vi è una necessità a fare pace comunque e subito, a non litigare (come dicono le mamme ai loro bambini); la pace è nella nostra educazione, è un nostro dovere. Ma spesso non va così ed il conflitto insorge, dobbiamo renderci conto che esso non va sottaciuto, non va represso, ma è una parte naturale delle relazioni umane e quindi va vissuto. Anche quello che si origina dalle separazioni.

Il conflitto, in generale, nasce da due verità, da due ragioni considerate inoppugnabili e valide da sostenere allo stesso modo. Se partiamo da questo presupposto non esiste una parte che possa avere ragione e una che ha torto. Il conflitto sprona a guardare al nostro modo di relazionarci e ci invita di conseguenza a modificare lo stile con il quale incontriamo l’altro. Quando parliamo di relazioni non possiamo non parlare di conflitto; addirittura possiamo affermare che la relazione è conflitto, che la diversità che si mette in gioco in ogni contatto relazionale genera inevitabilmente dinamiche conflittuali (Martello, 2008). Il conflitto è, dunque, un elemento base della relazione; senza di esso la relazione si potrebbe considerare fasulla, in quanto le parti coinvolte non avrebbero la possibilità di esprimersi realmente. E’ proprio l’emergere del conflitto che ci permette di porci in rapporto con la diversità dell’altro obbligandoci a riposizionare i confini tra noi e l’altro e quindi definire, di conseguenza, la relazione in cui siamo implicati.

Attualmente i nostri conflitti trovano risposte poco adeguate; spesso ci si rassegna a metterci una pietra sopra, evitando così il problema, o si delegano le decisioni alla Giustizia che trova a volte soluzioni che non sono né rapide, né efficaci, non cogliendo quella dimensione più forte e centrale che accompagna il conflitto, ovvero quella emotiva. Nei palazzi di giustizia non c’è spazio per questa dimensione poiché si lavora sui fatti. Le soluzioni a cui arriva un giudice possono bloccare la comunicazione tra le parti, soffocare la possibilità di esprimere il proprio malessere sotteso alla contesa ed impedire il reciproco riconoscimento, imponendo logiche competitive e distruttive.

Gli avvocati, da parte loro, non riescono a ristabilire una comunicazione sana e civile fra le parti in causa; anzi, il più delle volte innestano uno stato di escalation conflittuale (attraverso l’utilizzo ed il deposito - reale o minacciato - di varie memorie, segnalazioni, ricorsi, ecc) che porta inevitabilmente alla perdita dei reali bisogni ed esigenze di ciascuno; in questi casi occorre la presenza di una figura terza – quale è il mediatore - che aiuti a costruire modalità più consone di vivere il conflitto, di gestirlo ed affrontarlo.

Anche le persone che hanno deciso di separarsi devono comprendere che litigare ed avere diversi punti di vista rispetto alla situazione emergente non è patologico, bensì normale e comprensibile, ma se si aggrappano solo al conflitto, questo le fa cadere in un baratro di infelicità perenne, in cui la visione del mondo si restringe a tal punto che l’unica ragione di vita diventa il conflitto stesso, attraverso una sistematica guerra alla controparte; in questo modo vengono attivate dinamiche paranoiche improntate alla distruttività reciproca: le parti non riescono ad andare più oltre ai fatti, ad andare oltre il conflitto.

Nella separazione, spesso, l’iter giudiziario che i coniugi devono sostenere comunica loro implicitamente un messaggio che finisce per rafforzare i sentimenti e comportamenti che sono per tanti versi opposti a quelli necessari ai loro figli e a loro stessi, per superare costruttivamente la crisi della separazione: si sentono e si comportano da individui infantilizzati e passivizzati, ai limiti della patologia e della devianza, colpevoli, irresponsabili, individui che di fatto delegano la gestione dei propri affetti più intimi, la quotidianità stessa dei propri figli ad altri, figli che spesso finiscono per trattare come prede e ostaggi (Bouchard, Mierolo, 2000). Quando le coppie separate non cooperano, non trovano un accordo condiviso, un contenitore capace di trasformare il dolore in speranze per il futuro e capacità di ricominciare, tramutano la loro sofferenza in un senso di fallimento senza fine, da cui possono tracimare rabbia, aggressività, vendetta: tutti stati d’animo che, invece di aiutare a trovare un nuovo percorso, aggiungo macerie alla distruzione già in atto.

In tutti questi casi vi è l’esigenza di dare un’opportunità per affrontare in modo alternativo la crisi separativa, un modo che riesca a “governare” il conflitto che contrappone gli ex coniugi e che li supporti nelle modalità di interazione migliore da attuare; questa alternativa viene data dal consulente psicoforense che, da una parte dà consigli, suggerisce, spiega i diversi meccanismi che entrano in gioco in queste situazioni e le varie possibili soluzioni; dall’altra - in tutti quei casi in cui il conflitto è ad un livello tale da non poter essere adeguatamente affrontato dalle parti, prese singolarmente - propone all’assistito ed al suo avvocato la partecipazione a dei colloqui di mediazione familiare, affinché i toni dell’ostilità siano smorzati e le parti in causa possano trovare accordi plausibili ed adeguati per tutti, facendo capire che in questi casi non ci sono né vincitori né vinti e che entrambi le parti possono uscirne o vincitori o perdenti di un benessere comune, ossia quello dei figli.


Il nodo della bigenitorialità

Un altro versante che è bene spiegare a chi arriva impreparato alla separazione è che l’attuale sistema normativo in tema di affidamento si basa su un concetto molto importante, diritto fondamentale sia dei genitori che dei minori, ossia la bigenitorialità: la presenza e partecipazione attiva di entrambi i genitori alla cura, alla crescita e all’educazione dei figli. Deve essere spiegato a tutte quelle persone che vorrebbero o tenderebbero ad escludere fin da subito l’altro genitore che questo concetto, fatto proprio dal legislatore, comporta il riconoscimento da parte di ciascun della genitorialità dell’altro come valore permanente che non si limita al periodo felice della coppia, ma rimane anche dopo la separazione o il divorzio. Vivere consapevolmente la propria genitorialità significa perciò garantire il diritto ai figli che l’amore dei genitori è “per sempre” anche quando l’amore nella coppia non c’è più. Il diritto dei figli alla bigenitorialità è sinonimo di rispetto nei loro confronti ed evita loro il danno esistenziale che viene inflitto quando i genitori duellano senza esclusione di colpi per effetto di un intenso ed insanabile conflitto.

Il consulente psicoforense, ed in particolar modo il mediatore, si pone l’obiettivo principale di sostenere ed aiutare le coppie in crisi anche prima che arrivino alla fase della separazione vera e propria, attraverso una ristrutturazione della comunicazione che riconosca il valore comune della responsabilità, della pari dignità dell’essere e restare genitori anche quando il rapporto di coppia finisce ed una risoluzione nella gestione delle emozioni negative, offrendo loro un terreno di pacificazione per vivere una più risolta dimensione della relazione interpersonale all’interno della famiglia e dei suoi componenti anche quando la famiglia non c’è più.

Il concetto di bigenitorialità ha, di fatto, introdotto un elemento deterrente di comportamenti e prassi scorrette che si erano andate costruendo nel regime della vecchia legge, in casi di affidamento esclusivo, in cui uno dei due genitori veniva escluso dalla vita del proprio figlio o si autoescludeva disinteressandosene totalmente. Questo diritto deve far capire che i genitori si devono manifestare, durante la separazione, duttili, con buon senso, responsabili e competenti in ordine alla gestione dei figli; per far questo spesso le persone hanno bisogno che qualcuno di fidato, competente ed esperto li aiuti in questo irto e complesso passaggio, in un momento in cui vorrebbero pensare o pensano solo a loro stessi.


I diritti dei figli

Di frequente negli studi legali si presentano persone accecate dalla loro voglia di rivalsa, di far riscattare i loro diritti e di rivincita su una persona che ha fatto loro un torto (nei casi delle separazioni frequenti sono i sentimenti di dolore, rabbia, frustrazione, angoscia, senso di colpa, ecc.), non pensando che per attuare tutto ciò vanno contro ad una serie infinita di atti che inficiano il loro benessere e quello delle persone che stanno loro vicino, in modo particolare i propri figli.

La separazione è spesso dolorosa sia per gli adulti che per i figli, ma mentre per i primi si tratta del fallimento di un progetto di convivenza, un progetto che ha aspetti affettivi e patrimoniali, un progetto di collaborazione per crescere insieme; per i figli, invece, c’è molto di questo, ma anche un attacco diretto alla propria sicurezza esistenziale, la messa in discussione di un bisogno/diritto di contare sugli adulti che la nostra specie ha iscritto profondamente in ciascuno di noi da milioni di anni (Pellai, Tamborini, 2009).

Negli anni il tempo del rispetto dei diritti dei figli e dell’infanzia si è via via accentuato nella nostra società e cultura, come in altri Paesi. Dopo la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo, sottoscritta a New York nel 1989 (resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991) e la Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (resa esecutiva in Italia con la legge n.177 del 20 marzo 2003), la legge del 2006 fa propria un’importante istanza culturale individuando, per la prima volta come proprio, il “diritto dei figli” (quali, ad esempio, a frequentare entrambi genitori o i nonni), introducendo così una regolazione giuridica all’interno del diritto di famiglia, che non solo tiene conto dell’interesse del minore, ma ne fa la linea guida per la regolazione giuridica stessa (Giannella, Palumbo, Vigliar, 2007).

Uno tra i più importanti diritti riconosciuti ai minori (sopra gli anni dodici o anche in età inferiore se giudicato capace di discernimento) è quello di essere ascoltato (art.155 sexies del c.c.), diritto fondamentale in quanto viene data la possibilità al fanciullo di esprimere liberamente la sua opinione, cercando di comprendere le sue esigenze ed i suoi problemi. L’innovazione della legge sull’affido dà spazio in questo senso al figlio al quale viene riconosciuto il diritto di esprimere la propria posizione; rimane comunque il fatto di far capire ai genitori che i bambini non sono marionette nelle loro mani e che questo momento di ascolto non può essere utilizzato a proprio beneficio, (convincendo, ad esempio, il minore, con sotterfugi, a dire ciò che loro vogliono che lui dica), ma è un momento di assoluta libertà e tranquillità, in cui è il minore al centro dell’interesse e dell’attenzione di tutti i protagonisti della vicenda che sono lì ad ascoltare i suoi bisogni e le sue richieste.


L’etica della responsabilità ad educare

I genitori che si trovano nella fase di un cambiamento irreversibile del loro sistema famiglia dovrebbero far propria l’idea che il lavoro degli adulti nei confronti dei propri figli deve rimanere costante nel tempo, sia pur trasformato nelle modalità operative e nel contesto di riferimento.

I genitori, conviventi o separati, hanno un compito che da solo basta a dare un senso a una vita: dimostrare con l’esempio che anche se non si va d’accordo, anche se la convivenza tra gli adulti non è più pensabile, è possibile mantenere un impegno comune per aiutare i figli a entrare nel mondo contando sul sostegno, sulla guida e sull’affetto di un padre e di una madre (Pellai, Tamborini, 2009).

Un bambino, grazie al proprio contesto familiare dovrebbe, quindi, riuscire a sviluppare una conoscenza di sé, una fiducia in se stesso e una stima di sé (Giannella, Palumbo, Vigliar, 2007). Affinché ciò accada è utile ed indicativo che un consulente riporti, come una sorta di decalogo per i genitori separati, questo elenco proposto da Iori (2006) su quali sono gli impegni e le responsabilità dei genitori:

Ø impegno a sentirsi genitori per tutta la vita;

Ø mantenimento di contatti sereni e frequenti con il genitore più lontano;

Ø aiutare i ragazzi ad adattarsi alle situazioni familiari successive;

Ø informarli con franchezza ed onestà senza escluderli dalle decisioni che li riguardano;

Ø mostrarsi genitori affidabili nonostante la rottura della coppia;

Ø avere cura dei sentimenti che i ragazzi provano durante e dopo la separazione tenendo conto della loro età;

Ø adoperarsi reciprocamente per non demolire l’immagine dell’altro genitore e non coinvolgere i bambini nelle controversie di coppia evitando soprattutto di stabilire alleanze che ingenerino conflitti di fedeltà;

Ø assumere le responsabilità educative secondo una prospettiva di educazione condivisa che abbia a cuore prioritariamente la difesa del vero interesse del figlio.

Ovviamente tutto ciò non è sicuramente facile, soprattutto all’inizio della separazione dove prevalgono sentimenti di disfatta e sconforto per il lutto relazionale, ma è bene fin da subito far comprendere questo quadro ai rispettivi genitori, evidenziando loro che, mettendosi in gioco per continuare il loro ruolo educativo, nonostante le ostilità e le ferite, salvaguardano non solo i propri figli, ma anche se stessi e possono gioire dell’intima e profonda soddisfazione della genitorialità offrendo, nonostante il cambiamento, sicurezza e stabilità.

Il più importante potere educativo dei genitori separati è perseguire uno spazio che permetta di superare la situazione; se un progetto familiare costruito insieme finisce, non per questo (e questo è il nodo centrale da far capire alle persone quando si separano ed ai loro figli) finisce la progettualità che concerne il futuro dei figli.


Il nodo della comunicazione dei sentimenti

Una delle domande che spesso i genitori chiedono ai professionisti è: come comunichiamo a nostro figlio la nostra decisione di non vivere più assieme? Queste persone, spesso divise da insanabili contrasti di natura sentimentale e patrimoniale, delusi, aggressivi e rancorosi per come è finito il loro progetto di convivenza, provano la medesima angoscia al pensiero delle reazioni dei figli alla comunicazione della loro separazione. Entrambi sanno bene che questa comunicazione, anche se da tempo prevista e temuta, non può che destare una tempesta di emozioni alle quali i figli reagiranno in modi molto personali e non sempre prevedibili; ecco allora che l’esperto in separazioni e conflitti può aiutare, rassicurare, comunicare ai genitori come poter affrontare e superare questo momento particolarmente critico; il consulente psicoforense, può far riflettere, suggerire e dare spunti su come i genitori possono entrare in comunicazione con i loro bambini in questi momenti così difficoltosi della loro esistenza.

Fin dai primissimi incontri i genitori devono capire che la separazione non dovrebbe mai avvenire all’insaputa di un figlio, perché i bambini sanno già tutto, capiscono quello che sta succedendo in famiglia, vedono l’invisibile, e nonostante questo hanno bisogno di chiarimenti espliciti e diretti dai propri genitori per affrontare la moltitudine dei sentimenti e degli stati d’animo che stanno sperimentando, come la paura, la tristezza, la rabbia, il senso di colpa, la vergogna e l’impotenza, ecc. Il professionista che accoglie le insicurezze della coppia può spiegare loro come reagire, affrontare e sciogliere questi problematici nodi, tenendo ovviamente conto dell’età ed il sesso del figlio, della fase del ciclo di vita che la famiglia sta attraversando, della personalità di ogni singolo componente e della modalità di gestione del conflitto e facendo loro utilizzare modalità differenti per mettersi in “contatto” con i propri figli, quali video, filastrocche, storie, ecc.

Comunicare con i propri figli con onestà emotiva il conflitto che si sta vivendo come genitori è un’occasione che può trasformare il dolore della separazione in un momento di crescita e un modo per rispettare la dignità del bambino. Raccontandogli la verità non solo su quello che ha unito e unisce la coppia, ma anche su ciò che la divide, gli si spiega che la separazione è solo coniugale e non genitoriale. A tale scopo Pellai e Tamburini (2009) hanno stilato delle regole d’oro che i genitori dovrebbero seguire per aiutare il figlio a capire che mamma e papà si lasciano, ma non lo lasciano:

  1. separarsi con lo stesso stile con cui si intraprende un viaggio molto avventuroso di cui non si conoscono le tappe e non si possono prevedere le condizioni metereologi che, ma ci si può dotare di ausili di protezione, ci si può documentare, allenare in modo che l’imprevedibilità diventa un’occasione per affrontare gli ostacoli, uscendo rafforzati dall’esperienza, avendo imparato l’arte della flessibilità, della pazienza, dell’accettazione e della comprensione altrui;

  2. comunicare con le parole e…con tutto il resto perché un bambino si vuole sentire rassicurato, protetto, amato ed è fondamentale fargli capire, tramite la comunicazione verbale e non verbale, che continuerà ad avere relazioni amorevoli, calde ed affettuose con entrambi i genitori. Non è facile per i piccoli esprimere i propri sentimenti a parole, spesso questi riversati in azioni che vanno comprese; se un figlio potesse parlare con onestà e chiarezza questa è la lista di cose che vorrebbe dire ai propri genitori:

    • Voglio che entrambe rimaniate coinvolti nella mia vita. Se potete scrivetemi lettere, fatemi telefonate, chiedetemi un milione di cose. Quando non vi dimostrate coinvolti nella mia vita, a me sembra di non essere importante e di non meritarmi il vostro affetto;

    • Per favore non litigate troppo e cercate di andare d’accordo, per quanto questo sia possibile per una mamma e un papà che si separano. Cercate di trovare un’intesa su tutto ciò che mi riguarda. Quando litigate per causa mia, penso di essere stato io a fare qualcosa di sbagliato e mi sento colpevole;

    • Voglio bene ad entrambi e amo ogni istante che trascorro con ciascuno di voi. Perciò quando siete con me non mostratevi mai arrabbiati oppure gelosi, non fatemi domande su cosa fa e chi vede l’altro genitore, perché questo mi fa immaginare che volete che io stia dalla parte di uno o dell’altro e abbia delle preferenze nei vostri confronti;

    • Se dovete dirvi delle cose, fatelo direttamente e non utilizzate me come un ambasciatore dei vostri messaggi;

    • Quando parlate del genitore assente, dite di lui/lei solo cose belle oppure, se non ci riuscite stata zitti;

    • Non dimenticate mai che voglio che entrambi rimaniate un punto di riferimento per la mia vita. Ho bisogno di una mamma e di un papà per diventare grande, imparare ciò che è importante per me, per ricevere aiuto quando ho dei problemi.

  3. rispettare riti e routine anche dopo la separazione per far capire ai propri figli che mamma e papà sono attenti ai piccoli particolari e alle loro abitudini che non cambieranno in maniera drastica;

  4. trovare un accordo preventivo su come spiegare al figlio la separazione è un passaggio importante; i genitori dovrebbero:

- decidere insieme il momento per farlo e il modo in cui raccontarlo, prima che uno dei due lasci la casa coniugale;

- cercare di essere entrambi presenti;

- essere rispettosi l’uno dell’altro, per quanto possibile;

- annunciare con chiarezza ai bambini quali sono i cambiamenti ai quali andranno incontro, soprattutto in relazione a dove vivranno, con chi e come si svolgeranno le routine relative all’accompagnamento a scuola e alle altre attività extrascolastiche;

- cercare di fornire un senso di sicurezza e programmazione rispetto a ciò che succederà a breve e medio termine, senza però sommergerli di troppe informazioni

- fare molta attenzione alle reazioni del bambino.

  1. avere cura di se stessi, perché per poter essere d’aiuto al proprio figlio occorre riuscire a prendersi cura di noi stessi, così da poter essere emotivamente e fisicamente disponibili nei confronti dei maggiori bisogni dei piccoli. E’ importante che entrambi i genitori:

- evitino di isolarsi emotivamente dal contesto sociale e relazionale cui appartengono;

- sappiano da chi è composto il proprio gruppo sociale di supporto e come contattarlo in tempi brevi per richieste di aiuto;

- sappiano come prendersi cura del proprio stato di salute e di quello dei propri figli;

- facciano movimento, conducano una vita fisicamente attiva e, in generale, aderiscano a uno stile di vita improntato al benessere;

- registrino in un diario periodico i proprio sentimenti, emozioni, reazioni relativi agli accadimenti che si verificano,

- cerchino in tutti i modi di mantenere il sorriso e alto lo spirito nella vita di tutti i giorni: anche se la casa è abitata dal dolore per la separazione, continua a esserci un gran bisogno, soprattutto per i bambini, di buonumore e risate.

Spesso, quando le coppie hanno superato l’iniziale fase di rabbia e delusione per il matrimonio fallito, la paura che manifestano maggiormente è quella di sbagliare con i loro figli, di non sapere come comportarsi in determinate situazioni. Anche in questo caso avere a disposizione un esperto in materia che possa chiarire, dare consigli ed affrontare insieme le diverse tematiche riportate dai genitori può essere una fonte di inesauribile ricchezza. Ovviamente non si ha una formula magica universale, ma vi sono delle linee guida su cosa i genitori dovrebbero e non dovrebbero fare mai in generale, affinché i figli stiano bene:

ü mai litigare con l’ex partner di fronte a loro o al telefono in loro presenza;

ü mai fornirgli dettagli sgradevoli o negativi sul comportamento dell’altro genitore;

ü cercare di rendere prioritario lo sviluppo di una relazione con l’ex partner orientata verso uno stile amichevole;

ü cercare di interagire con l’altra persona in modo più cordiale e gentile possibile;

ü concentrarsi sui punti di forza e sulle risorse di tutti i membri della famiglia;

ü nel caso ci si senta sopraffatti da sentimenti di rabbia, paura, lutto o vergogna rispetto al partner è fondamentale chiedere un aiuto specialistico.

Mantenere una relazione civile e rispettosa con il partner da cui ci si vuole dividere porta i propri figli a sentirsi autorizzati ed in grado di comunicare le proprie emozioni, il senso di lutto e perdita che la separazione comporta, avendo modo di attraversare la tempesta emotiva che li aspetta ed uscendone come persone più forti e resilienti.

Il genitore oltre che a comunicare, in qualsiasi situazione, ma in particolare nei casi di separazione, deve anche saper ascoltare il proprio figlio; abbiamo visto come la legge sull’affido preveda che il giudice possa ascoltare il minore, ma prima di pensare a far ascoltare i minori in un sistema giudiziario si dovrebbe cercare di prestare loro attenzione all’interno della propria famiglia. Riconoscere loro il diritto di esprimersi, di manifestare le proprie opinioni, esigenze, bisogni è una forma di rispetto ed anche un modo di mettersi nei loro panni.

Ascoltarli e quindi chiedere il loro parere è un modo per renderli partecipi, per rassicurarli rispetto alle paure sul loro futuro. Generalmente i genitori invece tendono ad attribuire il proprio punto di vista sia perché non vogliono mettere in discussione scelte che potrebbero non essere condivise sia perché pensano di sapere cosa sia bene per i propri figli. La mancanza di dialogo, invece, comporta un’emarginazione ed una scarsa importanza alle esigenze dei figli che sicuramente può determinare una forma di autosvalutazione. E’ fondamentale, quindi, sollecitare i figli ad esprimere i propri sentimenti e stati d’animo, attraverso un ascolto empatico ed una comprensione profonda, in modo da condividere l’elaborazione del disagio. Affinché i figli si sentano meno smarriti nel disagio che li attraversa essi devono sentire che c’è uno spazio intimo di ascolto e di accoglienza in primis nei genitori, loro punto di riferimento (Giannella, Palumbo, Vigliar, 2007).


Conclusioni

La Psicologia giuridica è oggi un ambito non solo di ricerca, ma anche di studio, di professionalità in grado di ricondurre a unità conoscenze e competenze provenienti da campi di sapere diversi: la presenza della competenza giuridica accanto a quella psicologica è il preludio per favorire e valorizzare la comunicazione intersistemica.

Come ben delineato da Puddu “la giustizia non può, per definizione, operare prescindendo dagli uomini; dalla conoscenza dei loro processi emotivi, affettivi, cognitivi, comportamentali, motivazionali, relazionali, biologici, fisiologici, sociali, culturali. Non può prescindere, perché umane sono le denunce, le cause e i procedimenti giudiziari; umane sono le dinamiche degli eventi indagati; umane sono le loro ripercussioni; umani sono strumenti, procedure e metodi mediante i quali si effettuano investigazioni, accertamenti e ri-costruzioni di fatti; umane sono le prove e le testimonianze raccolte; umani sono gli errori conoscitivi e valutativi in agguato; umane sono le attribuzioni di causa e di responsabilità; umane sono le tesi e le argomentazioni formulate; umano è il linguaggio utilizzato; umani sono i ruoli e i conflitti processuali; umani sono i codici di legge e le loro interpretazioni; umani sono i giudizi e le decisioni della corte; umani sono i significati delle sentenze come le loro applicazioni e implicazioni.” (Puddu, 2009, pag. 11). Sia il diritto sia la psicologia si occupano prevalentemente del comportamento umano: l’uno per indicare ciò che è lecito e ciò che è vietato e per dare al giudice gli elementi necessari al fine di precisare le responsabilità individuali, l’altra - la psicologia - per spiegare la condotta umana, i processi psicologici che regolano la vita dell’Uomo, le sue scelte, le motivazioni, le sue condotte, le responsabilità, le regole sociali, i rapporti interpersonali (Gulotta, 2002).

La consulenza psicoforense mira, quindi, ad intensificare quel rapporto, per ora ancora molto distante, fra mondo giuridico e mondo psicologico, attraverso il proliferare di tutta una serie di attività che vanno ben al di là del campo giudiziale e che servono per promuovere forme di aiuto extragiudiziario, sia agli avvocati che alle persone che si affidano ai legali.

Si è potuto costatare come in campo penale, civile e minorile i servizi che uno psicologo di formazione forense può offrire sono molteplici e di natura differente. Nello specifico, per quanto riguarda l’ambito civile, nelle situazioni di separazione, si avverte l’esigenza di offrire alle persone che attraversano la crisi separativa un’opportunità per affrontare in modo alternativo e non antagonistico alla via giudiziaria, il conflitto che spesso le contrappone. La consulenza psicoforense e la mediazione familiare sono le forme più innovative di queste proposte che si prefiggono come scopo quello di non lasciare da soli né genitori né figli in una fase tanto difficile della loro esistenza. I genitori in difficoltà chiedono esplicitamente o implicitamente di ritrovare fiducia e speranza, in un periodo in cui i loro conflitti si radicalizzano e la battaglia tra le parti diviene sempre più dura, rischiando di compromettere gravemente i rapporti tra di loro e con i loro figli; è per questo che un atteggiamento amichevole, un linguaggio semplice e chiaro, disponibilità, competenza professionale e vicinanza umana possono rendere risolvibili molte crisi attraverso un’approfondita opera di chiarimento e di sostegno (Scaparro, 2009).


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