FENOMENOLOGIA DELLE DINAMICHE FAMILIARI: LA TUTELA DEL MINORE
Psicologia & Giustizia
Anno XXII, n.1
Gennaio-Giugno 2021
Parola chiave: minore, alienazione parentale, elusione, aver cura del bambino, conflitto della sfera emozionale,
Abstract:
Questo contributo è centrato sul costrutto di alienazione parentale come processo psicologico che, al di là della sua collocazione clinico-nosografica problematica, evidenzia delle criticità che investono il minore ed il suo iter-evolutivo. Al tempo stesso, lo studio mette in rilievo l’importanza delle capacità genitoriali in quanto più esse vengono incrementate più si sviluppa la possibilità di ridurre l’influenza della PAS e soprattutto si genera un clima familiare suscettibile di favorire livelli di consapevolezza educativa.
1. Introduzione
Dalla letteratura psicologica sulle relazioni del bambino con le figure genitoriali, sia di orientamento psicodinamico, sia sistemico - familiare, sia fenomenologico e cognitivista, sappiamo quanto sia difficile sostenere il processo di differenziazione e di individuazione del bambino.
L’infanzia necessita di essere sempre più vista e non trattata di sorvolo o con superficiali valutazioni quando si verificano casi particolarmente gravi. Come ha notato Winnicott[3], il bambino ha bisogno di essere visto: significa essenzialmente comprendere il suo processo maturativo attraverso figure genitoriali veramente rispecchianti empaticamente che lo accompagnano nella costruzione della sua identità.
Processo questo che necessita anche di contesti interpersonali sintonizzati con le figure genitoriali.
Inoltre, anche a livello di relazioni sufficientemente adeguate, gli ostacoli allo sviluppo evolutivo possono emergere, a causa di possibili distorsioni dell’Io del bambino dovute all’assimilazione di credenze erronee o come esito di processi di attaccamento inadeguati.
Certamente non bisogna avere una visione “negativa e costitutivamente conflittuale dell’infanzia, ma un senso di realtà che ci porta a valutare un fattore oggettivamente significativo. Il bambino ha diritto di esistere e questo suo bisogno primario deve essere tutelato, sia durante il suo sviluppo, sia soprattutto quando la sua esperienza rischia di diventare un tormento a causa di conflitti genitoriali che reificano tale esperienza, oggettivandola e rendendola preda di eventi incontrollabili. A partire da queste considerazioni, vogliamo mettere in rilievo l’esigenza di aver cura del minore anche in situazioni problematiche e conflittuali.
Non consideriamo in modo passivo e acritico che il bambino venga considerato soltanto vittima ma che si ha la possibilità di tutelarlo e concorrere ad una buona costruzione della sua identità o di fare il possibile che questa, in qualche modo, attraverso un ambiente esterno favorevole, oltre ai genitori al sistema giuridico, diventi una “cellula resiliente” in cui il minore può autenticamente esperire il suo diritto primario ad esistere per coesistere.
Trattare di PAS in questo senso implica, al di là delle controversie concettuali e cliniche, addentrarsi all’interno di una fenomenologia relazionale complessa, la cui comprensione può limitare lo sviluppo dell'identità che, come quella del minore, rischia di essere costituita da frammenti emozionali fortemente distonici con l’acquisizione del Senso del Sé e del mondo esterno.
Considerare le competenze genitoriali, al fine di massimizzarne la sua valenza relazionale per far fronte al disagio del minore, implica una delle risorse più importanti per affrontare le difficoltà evolutive e gli stati mentali del bambino. Questo significa che bisogna fare in modo che quello che si è perso ed è stato oggetto di regressioni e di comportamenti alienanti, in casi problematici della famiglia del minore, possa trovare nelle responsabilità genitoriali, sempre suscettibili di rimodularsi, una base se non sicura almeno essere il più possibile responsiva.
In questa prospettiva, gli aspetti centrali sono fondati sulla Pas e sulle competenze genitoriali. Queste si richiamano se non in termini di valutazioni di specifiche problematiche, certamente in termini di prevenzione e di riorganizzazione del sistema familiare. La Pas è stata anche considerata alla luce di una prospettiva psicodinamica e fenomenologica esistenziale al fine di arricchirne la dimensione clinica con argomentazioni inerenti alla dinamica della famiglia e le sue particolari declinazioni.
2. Aspetti problematici della PAS
La Sindrome di Alienazione Genitoriale (Pas), così definita dalla American Psychological Association[4], è un costrutto impiegato fin dal 1985, inizialmente negli Stati Uniti, all’interno delle cause di divorzio con affidamento di minori. Tale costrutto come vedremo pur avendo una sua consistenza clinica ed in grado di valutare le cause di determinate conflittualità, presenta dei limiti e necessita di approfondimenti e del contributo sia dei clinici, sia delle diverse componenti giuridiche.
Essa viene elaborata dallo statunitense Richard Gardner[5], allo scopo di identificare il significato di un disturbo caratterizzante i minori coinvolti in procedure di separazione o divorzio.
Secondo Gardner tale disturbo si sviluppa nel contesto delle conflittualità per la custodia dei figli. Fondamentalmente nella relazione coniugale, un genitore viene definito alienante ed attiva una sorta di programma sistematico di denigrazione contro l’altro genitore che, per l’appunto, risulta quello alienato. Ad ogni modo, il bambino viene significativamente influenzato da questa dinamica ed è <<costretto>> a sua volta ad incidere involontariamente su questo processo di denigrazione. Pertanto, nella definizione iniziale di Gardner, affinché si possa avvalorare una diagnosi di Pas, è necessario che si manifesti una campagna di denigrazione che coinvolge il genitore alienante e il bambino secondo una relazione patologica che potrebbe portare il minore oltre che a perdere il senso della sua affettività anche a costruire una modificazione delle relazioni con il genitore alienato, che gradualmente si sposta ad uno stato di alterazione sia dei suoi vincoli affettivi, sia della integrazione della sua esperienza.
Per quanto riguarda la campagna di denigrazione, si può mettere in evidenza il comportamento del bambino che imita i messaggi di disprezzo del genitore «alienante» verso quello «alienato». A causa dell’influenza del genitore alienante, il bambino tende a regredire ed a esprimere il suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni incongrue, spesso superficiali e aliene dalla ricerca di un vero contatto.
Un fattore fondamentale è da ascrivere alla mancanza di ambivalenza che necessita di essere elaborata gradualmente del bambino in quanto è alla base della differenziazione della personalità. Ciò, a causa della Pas, viene impedito ed il bambino apprende a sancire atteggiamenti negativi verso il genitore rifiutato. Una dimensione particolarmente problematica è costituita dall’indipendenza di giudizio da parte del minore “il fenomeno del pensatore indipendente” che esprime la determinazione del bambino ad affermare di essere autonomo nelle sue valutazioni e di aver elaborato da solo i contenuti della campagna di denigrazione senza il concorso del genitore alienante.
Il conflitto genitoriale con i suoi diversi esiti psicologici viene “risolto” e neutralizzato attraverso l’appoggio automatico al genitore «alienante»; il bambino assolutizza questa posizione, evidentemente inadeguata, rispetto a qualsiasi difficoltà che possa emergere.
Un’altra modalità riguarda l’assenza di senso di colpa: ciò permette di legittimare il disprezzo e il rifiuto verso il genitore alienato. Tale modalità, si può considerare come il vissuto nucleare dello stato di instabilità emozionale del bambino che lo porta ad utilizzare termini, frasi, un insieme di ingiunzioni che non fanno parte dell’assetto cognitivo ed emotivo del minore e che riflettono le diverse configurazioni e gli scenari del processo di alienazione.
Infine, l’estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato. È importante evidenziare la valenza che hanno tali sintomi rispetto alla gravità o meno delle condizioni relazionali. La Pas può essere caratterizzata da un livello lieve in cui tali sintomi sono appena percepibili o addirittura alcuni di essi possono essere assenti del tutto: il bambino, infatti, a livello motivazionale ed emozionale conserva una certa integrità e mantiene una soddisfacente relazione emotiva con entrambi i genitori. Secondo Gardner nei casi di Pas lieve è generalmente sufficiente che il tribunale confermi che la madre resterà con il genitore custode primario. In questi casi, la Pas probabilmente tenderà a diminuire senza alcun ulteriore intervento terapeutico o legale. Nelle condizioni di Pas di livello medio, il bambino inizia ad avvertire conflittualità emotiva nei momenti in cui, ad esempio, deve avere relazioni costanti con il genitore alienato. Il conflitto è profondamente interiorizzato e rivela il contrasto fra l’affetto per entrambi i genitori e il desiderio di lealtà rispetto a ciò che effettivamente vive e sperimenta. Tale conflitto viene apparentemente risolto con la sospensione del senso di colpa che, invece, sarebbe auspicabile esprimere per evitare che esso possa avere un effetto dirompente e di rischio durante lo sviluppo. In questo caso, secondo Gardner, il giudice può mantenere l’affido presso il genitore alienante, che dovrebbe però essere informato di quanto sta accadendo al bambino. Ciò dovrebbe comportare una rimodulazione delle emozioni, una sospensione di comportamenti di rabbia, al fine di far prevalere nella madre la comprensione della situazione coniugale e la necessità di tutelare il bambino.
Nel caso del livello grave, emergono tutta una varietà di sintomi che portano il bambino ad evitare in ogni modo la presenza del genitore alienato, evidenziando anche, come reazione diverse manifestazioni psicosomatiche. Nei casi di una certa gravità, l’obiettivo fondamentale è di fornire al bambino esperienze di vita in grado di rivalutare la figura paterna, in contrasto a quanto gli è stato comunicato dalla madre o viceversa. Su questo doppio registro, genitore alienante e genitore alienato, è importare intervenire parallelamente sui genitori e sul bambino, per evitare conseguenze fortemente negative sul piano psicologico. Un altro psichiatra forense statunitense, William Bernet, ha ripreso la teoria di Gardner ed ha elaborato il concetto di disturbo di alienazione parentale (Parental Alienation Disorder, PAD), che presenta un livello di maggiore complessità rispetto alla Pas. Secondo Bernet[6], il PAD riguarda la situazione relazionale disfunzionale del bambino che sperimenta l’alienazione parentale indipendentemente dal contesto, ossia con o senza processi di manipolazione finalizzata all’esclusione del genitore alienato. L’alienazione parentale è una condizione mentale nella quale un bambino, i cui genitori vivono l’esperienza di un divorzio fortemente conflittuale, si allea con un genitore <<il genitore preferito>> e rifiuta la relazione con l’altro genitore <<il genitore alienato>>. Ciò si verifica senza giustificazione legittima. Quando, invece, il rifiuto di un genitore da parte del bambino è attivamente influenzato dall’altro genitore, si realizza la sindrome di alienazione genitoriale, che può essere considerata una dimensione dell’alienazione parentale. In questo ambito Richard A. Warshak sottolinea tre condizioni: il rifiuto persistente di un genitore; il rifiuto del genitore non è giustificato; il rifiuto è almeno parzialmente causato dall’influenza del genitore alienante. Warshak[7] integra pertanto nella sua analisi la dinamica relazionale. Rispetto alle problematiche della Pas, Malagoli Togliatti e Franci[8] ritengono che questa rappresenta una situazione in cui il figlio gioca un ruolo nella persistenza del conflitto tra i genitori. Diventa co-autore di una condizione relazionale familiare che implica una collusione sia a livello familiare che extra familiare. Il minore, in questo senso, non può essere considerato solo come vittima ma è necessario riconoscere il suo ruolo attivo. Questa dinamica relazionale non implica assolutamente di sottovalutare la posizione del genitore alienante e le sue responsabilità né significa spostarle sul minore.
Un contributo italiano significativo alla conoscenza della Pas è quello di Gulotta G. In tale prospettiva, si chiede dove termina la normale pressione educativa di un genitore ed ha inizio un’azione subdola e coercitiva che lede la dignità del minore. In questo ambito si evidenziano dei criteri fondamentali circa la diagnosi, ne riportiamo alcuni:
ü le critiche/accuse all’altro genitore appaiono inconsistenti, esagerate, contraddittorie o contraddette dai fatti;
ü le critiche/accuse appaiono stereotipate, prive di dettagli e copia-carbone del pensiero di uno dei genitori;
ü le critiche/accuse sono estranee all’ambito di esperienza di un bambino di quell’età;
ü formulazione di critiche/accuse che contengono informazioni che solo l’altro genitore può aver fornito;
ü ansia e paura nell’incontrare l’altro genitore in assenza di ragioni concrete;
ü preoccupazioni volte a tutelare, senza una ragione specifica, un genitore rispetto all’altro;
ü ricerca di informazioni sul genitore bersaglio e/o considerazione delle informazioni sul genitore programmatore come segrete, da non divulgare;
ü ritenere che un genitore sia soltanto vittima e l’altro soltanto colpevole o responsabile. Egli descrive alcune caratteristiche psicologiche e comportamentali del genitore bersaglio che faciliterebbero l’instaurarsi della PAS;
ü il sesso: in due terzi dei casi il genitore bersaglio è il padre, che ha quindi maggiore probabilità di essere vittima della PAS soprattutto quando viene accusato falsamente di abuso sessuale;
ü la responsabilità attribuita per il fallimento del matrimonio: il genitore a cui viene attribuita tale responsabilità ha maggiore probabilità di divenire genitore bersaglio, soprattutto quando è stato infedele al coniuge o ha avviato una nuova relazione subito dopo la separazione;
ü distanza emotiva dai figli: il genitore che ha un atteggiamento distaccato verso i figli ha più probabilità di diventare bersaglio della PAS in quanto reagisce alla situazione quando è troppo tardi e comunque viene percepito in modo negativo dai figli che tendono a preferire il genitore più vicino affettivamente[9];
La PAS si sviluppa molto probabilmente in contesti segnati tanto dalle problematiche psichiche dei genitori, quanto dal desiderio di rivalsa, di rancore, e di emozioni negative. A questo riguardo Buzzi I. sostiene che le motivazioni dei genitori programmanti emergono dal loro bisogno di vendicarsi dell’altro o dalla profonda avversità che sentono nei confronti dell’altro genitore[10].
Come hanno evidenziato Malagoli Togliatti e Franci[11] la Pas richiede di essere compresa attraverso l’esperienza di abbandono, reale o fantasmatico, e di insicurezza emozionale che il genitore alienante ha avuto nella storia delle sue relazioni con i propri genitori. Il minore alienato è caratterizzato dalla stessa vulnerabilità, di cui potrebbe essere responsabile un genitore assente, affettivamente distaccato dallo stato emozionale del bambino. Questo genitore, probabilmente, assumerà il ruolo di alienato. In questo senso si genera una sorta di alleanza all’interno delle relazioni familiari; questa è rafforzata dalla percezione intima, da parte del genitore alienante e del minore alienato, dall’aver vissuto e di vivere gli stessi sentimenti di abbandono. Mentre il genitore che ha subito nell’infanzia un abbandono emotivo, esprime tutta la sua aggressività sul partner e ricerca un rapporto assoluto con il figlio, il minore, da parte sua viene fortemente penalizzato da questa dinamica, con il rischio di compromettere la costruzione della sua identità.
Mentre le dinamiche relazionali che la Pas può determinare sono evidenti, risulta problematica la sua identità clinica ed il suo carattere nosografico. A questo riguardo si è impegnati ad evidenziare dei criteri che corredano la proposta di inclusione del Pad nel DSM-5[12]. In tale prospettiva riteniamo di evidenziare i diversi contributi di Gulotta G. che non solo tendono a chiarire e a qualificare l’adeguatezza clinica della Pas sia sul piano giuridico che psicologico ma costituiscono un approfondimento per molti versi esaustivo della problematica della relazione come processo cruciale che è necessario comprendere per chiarire la portata della sua influenza e soprattutto per mettere i professionisti in grado di dare pregnanza e maggiore qualità multidisciplinare. In tal senso Gulotta G. ha evidenziato come sia nel panorama italiano e internazionale siano ancora assenti - ricerche sistematiche e statistiche ad hoc che consentano una validazione scientifica della “sindrome”, ed evidenzia come il punto debole della teorizzazione di Gardner è nell’assenza di studi empirici, ossia si tratta di un modello clinico non supportato[13].
Gli esperti del DSM-5 hanno ritenuto di non poter considerare l’alienazione parentale come un disturbo mentale, ma hanno valorizzato lo stato di conflitto della sfera relazionale.
La proposta di Bernet non è stata accolta nel DSM-5, in quanto l’esclusione e l’alienazione di un genitore non corrisponde ad una sindrome né ad un disturbo psichico individuale definito.
Liberatore M. Gulotta G. Cavedon A. dopo l’uscita del DSM5 si sono occupati della tenuta scientifica e fenomenologica del contributo di alienazione parentale, descrivendo: “l’alienazione parentale – cosi come l’abuso psicologico, fisico o sessuale, lo stalking o il mobbing – non sarà una malattia in sé, ma certamente è per il fanciullo un fenomeno che costituisce un grave fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi psichici anche gravi”[14].
3. Processi fenomenologici esistenziali e situazioni alienante
L’attenzione alla singolarità della situazione rappresenta un fattore fondamentale di rispetto dei componenti del nucleo familiare e soprattutto di tutela del minore. Ciò trova il fondamento normativo nella legislazione italiana che, coerentemente alla Costituzione italiana, alla Convenzione dei Diritti del Fanciullo di New York, alla Convenzione di Strasburgo ed alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo pone alla base dei rapporti familiari la bigenitorialità, ossia il diritto dei minori a rapportarsi in maniera armonica ed equilibrata con i propri genitori e con le rispettive famiglie d'origine. Nel 2003 l’Italia ha ratificato la Convenzione Europea sull’Esercizio dei Diritti del Fanciullo del 1996. Tale documento impone ai magistrati di ascoltare i minori in tutte le procedure familiari e giudiziarie che li coinvolgono, in particolare nei casi di separazione e divorzio dei genitori, e viene a sostituire quanto proposto dall’art.12 delle Nazioni Unite, che parlava di “possibilità di essere ascoltati”. Il minore dovrà essere quindi informato di ciò che lo riguarda, avrà il diritto di esprimere il suo parere e conoscere le possibili conseguenze delle sue opinioni. Eserciterà queste facoltà da solo o tramite qualcuno che lo rappresenta “in considerazione anche della sua età e delle sue capacità di comprensione dei fatti”[15]. Fermo restando quando notato è opportuno sottolineare che l’alienazione di un genitore non rappresenta di per sé un disturbo individuale che influenza il figlio, ma piuttosto un problema relazionale genitore-figlio, che potrebbe incidere significativamente, in termini di rischio evolutivo, sulla personalità del minore. Sulla base di queste considerazioni nell'ambito della psicologia giuridica e della psicologia clinica è sempre più pressante comprendere il luogo emozionale di un disagio, di un conflitto, oppure di quei processi oppositivi di varia natura che sovente permeano la valutazione peritale. Coerentemente con quanto abbiamo detto prima ci preme affrontare la dimensione della famiglia mettendo in luce soprattutto alcuni aspetti che spesso restano sommersi. Nel considerare la qualità dell'approccio sistemico familiare e il modo in cui esso analizza tali conflitti, intendiamo soffermarci su una dimensione esperienziale spesso trascurata che potenzialmente può generare un pericolo. Seguendo un'ottica fenomenologica-esistenziale intendiamo chiarire, senza la pretesa di essere esaustivi, quei processi che fanno parte dell'esperienza del sistema familiare e che possono esplodere con la forza irruente di conflitti, di separazioni inattese, di attacchi all'amore “dei figli” fittiziamente falsati da pseudo-amore. È necessario mettere in rilievo, in modo prioritario ed essenziale, come la famiglia si relazioni attraverso comunicazioni interpersonali ma soprattutto mediante le fantasie e l'esperienza vissuta e storicizzata che animano tali comunicazioni ponendo attenzione alle modalità concrete con cui queste si sviluppano. Comprendere tale processo implica realmente la capacità di addentrarsi non solo nei comportamenti espliciti ed esplicitabili ma soprattutto nei comportamenti e pensieri impliciti: si tratta di porre un’attenzione elettiva non solo in ciò che accade o potrebbe verificarsi, ma su ciò che si pensa, si sente, si vive implicitamente rispetto ai membri della famiglia. Le fantasie che abbiamo dell’altro, le nostre rappresentazioni, le nostre emozioni implicite costituiscono i nodi che legano effettivamente i membri della famiglia. Una comunicazione tangenziale può essere più facilmente compresa in quanto evidenzia di per sé una relazione incongrua che si rivela; un doppio legame si esplicita nella comunicazione senza via d’uscita nella sua tangibilità fenomenica. In questo modo possiamo capire le incongruenze e le difficoltà relazionali, ma è molto più difficile comprendere le parti sommerse ed implicite dei membri della famiglia: cosa la famiglia vive, cosa fermenta nella mente dei componenti del sistema familiare. Qual è la loro fantasia dell'altro, degli altri? Qual è la loro esperienza implicita che va oltre il non detto e il non verbale in quanto rappresenta un processo ancora più profondo che permea le nostre relazioni. Va osservato che l'implicito e tutta la sua area emozionale determina significativamente le nostre relazioni. L'implicito ha una forza tale che crea modificazioni senza che ne siamo consapevoli, che crea le basi di processi aggressivi. I processi impliciti esperiti in fantasia, come dice Sartre[16] nella sua elaborazione della psicoanalisi esistenziale, possono essere vissuti consapevolmente: <<l'irriflesso può divenire riflesso, la parte subconscia può affiorare alla coscienza solo a condizione che ci sia una scelta dell'essere verso ciò che è tendenzialmente vero>>. Se traduciamo questo nell'ambito della famiglia, fenomenologicamente, ci accorgiamo che non è possibile operare una scelta se non è sviluppata la modalità della disponibilità a condividere o se le relazioni non sono sorrette da livelli di autenticità emozionale. Ciò significa che molti processi impliciti vengono esperiti in fantasia e possono durare per lungo tempo generando un equilibrio instabile, incongruo e dissonante. Tale equilibrio può durare per anni o per sempre nel ciclo di vita della famiglia o può interrompersi bruscamente. Si interrompe in maniera forte quanto cova un pericolo che, in questo senso, rappresenta la metafora di un conflitto familiare. Quando si sviluppano conflitti decisamente cruenti significa che le fantasie dei membri della famiglia si esplicitano nella realtà e si declinano con prepotente ingiunzione verso l’altro e usurpazioni dell'altro. Si assiste ad una sorta di terremoto emozionale in cui l'equilibrio “collusivo - relazionarsi con inganno” precedente assume toni più pesanti e duri. Qui cova il pericolo perché l'esperienza in fantasia esplicitata nella realtà ha nel “qui ed ora” una tale dirompente violenza da rompere le modalità comunicative prima articolate. La famiglia si irrigidisce in quanto l'esperienza delle fantasie dei suoi membri vengono allo scoperto, le produzioni mentali non possono più essere collusive, non esiste più un autoinganno reciproco. Il nesso familiare tende a limitarsi o, come direbbe Lewin, lo spazio di vita comincia a regredire. Quando si restringe lo spazio di vita si verificano fenomeni fortemente regressivi che implicano non un ritorno ad esperienze passate ma una vera e propria regressione a stati rudimentali dell'esperienza. Si genera cosi un processo in cui cova il pericolo dell’alienazione genitoriale e dell'esplosione emozionale: irruenze, aggressività, violenze fisiche, domestiche, abbandoni e fughe di ogni tipo. Tutti fenomeni che esperiti implicitamente sono ora il contenuto concreto e tangibile delle relazioni familiari. Con questo non ci sentiamo di sottolineare un processo di causa ed effetto; ciò che è implicito diventa esplicito e produce aggressività e violenza, ma più semplicemente intendiamo far emergere come queste dimensioni implicite esperite in fantasia dovrebbero far parte integrante della valutazione peritale in quanto costituiscono l’area sommersa dell’alienazione della famiglia e dei suoi membri. Tali aspetti dovrebbero essere frutto di elaborazione, di sospensione e di rielaborazione per far sì che il perito abbia nei limiti del possibile non solo la conoscenza di un fenomeno specifico, oggetto della perizia, ma di ciò che ha permeato lo sviluppo di questo fenomeno. In questo modo il contributo del perito è sempre attento all'analisi del fenomeno in sé e dirige la sua attenzione alle aree sommerse della vita psichica esperite dai membri della famiglia che possono portare un contributo, un'ulteriore linea di sviluppo a ciò che si valuta.
Un approccio fenomenologico - esistenziale ci aiuta a comprendere il nucleo profondo su cui può innestarsi il conflitto genitoriale.
In particolare vanno approfonditi i seguenti fattori interesperienziali:
L’elusione è una modalità esperienziale fondamentale e costituisce un processo psicologico nucleare nei processi relazionali. Eludere, a livello interpersonale, implica una mancanza di posizione chiara ed autentica nei confronti dell’altro, significa mascherare con atteggiamenti manipolativi la dimensione intersoggettiva. Si sviluppa un’elusione quando l’altro non è messo nella possibilità di operare con sicurezza emozionale; un partner può eludere la richiesta dell’altro/a perché muove da una posizione di base priva di coerenza e densa di trasformazioni sul contenuto essenziale della comunicazione. Ciò procura confusione, incertezza, difficoltà, ruminazioni mentali che, nel qui ed ora, sembrano superabili ed elaborabili, ma in realtà si sedimentano nelle nostre parti profonde, restando sempre attive implicitamente e in fantasia. L’elusione è uno stato di negazione dell’altro e spesso di misconoscimento. È difficile, ad esempio, esperire una situazione elusiva quando si sviluppano una serie di comunicazioni contrastanti tra di loro, in un lungo periodo di tempo, rispetto ad un’altra persona. Non si assume pertanto una posizione chiara e reale e il soggetto altro è costretto a “cavarsela” tollerandone le ambiguità. Tuttavia, ogni processo elusivo viene interiorizzato e genera conflitti al momento non espressi ma che in futuro esploderanno. Così il partner che elude sistematicamente il coniuge, o che ambedue si eludono a vicenda, interiorizzano tali modalità che restano implicite e vissute in fantasia. Molte incomprensioni, modalità aggressive, stati di passività, mancanza di autonomia, potrebbero derivare dall’elusione in quanto essa va incidere sulla nostra identità:
L’alienazione familiare, attraverso l’influenza dell’elusione, può influenzare la vita psichica del minore e può portarlo, al fine di sopravvivere psicologicamente, a “mettere tutto dentro”, ad accettare manipolazioni dell’uno o l’altro genitore, o a creare alleanze, o a sviluppare comportamenti problematici[17]. D’altro canto i genitori, dal momento che uno dei due o entrambi hanno attuato un processo elusivo, quando tende a crescere la tensione familiare, necessariamente devono confrontarsi con le loro esperienze vere, ma che negate, possono irrompere con una forza d’urto tale da scardinare il loro ruolo genitoriale e il senso di responsabilità verso i figli. È una situazione di angoscia tale che l’alienazione genitoriale potrebbe divenire un processo inevitabile: alla ricerca del colpevole o del capro espiatorio. L’elusione costituisce una delle aree sommerse che potrebbe determinare l’alienazione e la conflittualità della famiglia.
4. Conclusione
A conclusione di questo lavoro intendiamo focalizzare l’interesse sulla famiglia e sull'esigenza che questa, possa essere supportata soprattutto quando sussistono condizioni deficitarie e di possibile disgregazione. L'alienazione genitoriale e tutti quei meccanismi deleteri che possono incidere sul minore richiedono a nostro parere uno sforzo maggiore volto a creare un tessuto ambientale all'esterno della famiglia in grado di modulare e mediare tale conflittualità. Consapevoli di muoverci in un'ottica che può sembrare idealistica ma non dobbiamo mai dimenticare che l'ideale, lo stato d'idealismo di ogni professionalità richiede di andare oltre il consueto per far in modo che ciò che pare problematico e insanabile possa in qualche modo avere la dignità di essere riconosciuto compreso e possibilmente volto ad una condizione positiva. A questo riguardo, l'alienazione genitoriale di fatto costituisce una processualità psicologica che esiste e che non può essere limitata da conflittualità tra esperti ad esempio la possibilità di essere annoverata nel DSM V, né può essere pressata da valutazioni in cui il terreno tecnico e professionale potrebbe cedere a tecnicismi psicologici e a forme non sempre chiare dell'agire peritale che non fanno che aggravare le distanze fra la famiglia adeguata e quella che nel nostro pensiero sommerso può essere più facilmente dimenticata e stigmatizzata. Richiamiamo l'attenzione a tal proposito a quanto sia importante l'ambiente interpersonale non solo della famiglia ma delle figure che ruotano attorno alla famiglia e sui diritti del minore. Come hanno notato negli attuali orientamenti clinici della salute, la famiglia ha bisogno di essere aiutata, ha bisogno di una considerazione primaria in cui sono da analizzare certamente i conflitti coniugali e i lori esiti, ma sono anche da potenziare le possibilità che la famiglia come sistema ha di generare condizione nuove. L'epistemologia della complessità riguardo alla dimensione familiare ci fa comprendere che quando un sistema perde di valore ed efficacia a causa di perturbazioni e di conflitti rischia di disgregarsi- e ciò è evidente- ma ci fa soprattutto capire che quel sistema può essere rinnovato se ad esempio “del tutto della famiglia” guardiamo in modo complesso e profondo alle parti marginali che spesso non vengono considerate. D’altro canto le competenze genitoriali rappresentano un supporto fondamentale a comprendere i processi critici che possono investire il minore e la relazione di coppia. In tale direzione si è cercato di mettere in risalto tali competenze collocandole lungo un continuum in cui da un estremo negativo alienazione genitoriale si perviene ad un estremo ricco di potenzialità. Se noi riflettiamo su cosa significa essere competenti a livello genitoriale ci accorgiamo che certe situazioni di difficoltà, possono minare tali competenze in quanto il sistema famiglia è soggetto come ha notato E. Murray allo sviluppo di determinati bisogni, ma anche all'incidenza di pressioni ambientali[18] che hanno un effetto sovente inesorabile che già rende giustificata l'analisi di Sartre: l'emozione può anche configurarsi come una trasformazione del mondo. Quello che era prima ora è diverso, ed è questa nuova diversità che può incombere sulla famiglia che richiede una maggiore cura. In tale direzione rifacendoci agli studi di Morin[19], e alla tradizione fenomenologica e psicodinamica è opportuno far vibrare una nota idealistica: Vi sono diversi modi di intendere l'etica della responsabilità e i professionisti nel campo di indagine che abbiamo affrontato sono certamente in linea con la dimensione etica, ma aggiungiamo che l'etica della responsabilità è uno stato di sollecitudine continua ad aver cura del minore, quel minore che ha bisogno di essere visto e di esistere, dimenticare ciò significa dividere l'umano in segmenti suscettibili di essere frantumati. L'esperienza del minore richiede un'etica della responsabilità, di cui i maggiori studiosi di psicologia dello sviluppo ne hanno sempre differentemente segnati i confini ma anche condiviso la portata qualitativa. L'etica della responsabilità costituisce il potenziamento della professionalità, perché consente se diviene la punteggiatura elettiva del tecnico e del perito non una mera posizione idealistica da liquidare a secondo dei bisogni di comodo e di giustificazionismo alienante a cui la professione può portare ma un continuo assestarsi a ciò che Binswanger[20] definiva orizzonte trascendentale di comprensione, che non significa chiarificazione di processi astratti e filosofici ma cercare di cogliere le intenzionalità a significare dei soggetti, quelli più deboli, quelli che reclamano il loro diritto ad esistere. I tecnici hanno un ruolo cruciale, se la professionalità è veramente permeata dalla competenza, dall'accuratezza psicologica esistenziale in cui ogni intervento si declini attraverso la modalità della sollecitudine è quindi della restituzione. Avere competenza e non creare il possibile benessere di chi sta in uno stato affranto è probabilmente un qualcosa che appartiene non alla competenza umana ma alla competenza mondana. Così la valutazione è sostenuta da un'etica della responsabilità in quanto protesa a svelare le parti sommerse, da un'etica professionale in quanto incentrata sull'esperienza vissuta dei membri della famiglia, dalla qualità di un'esperienza professionale in quanto il caso in questione assume un significato più semplice e chiaro, meno imbrigliato nelle matasse di valutazioni superficiali. Il perito esplora e valuta, ma ha in sé un possibile insight potenziale in nuce che gli può sempre consentire di apportare un nuovo elemento di analisi a favore dei membri della famiglia.
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[1] Psicologa clinica di comunità, psicodiagnosta, cultore della materia Psicologia delle emozioni delle motivazioni e personalità presso il Dipartimento Dinamica e Clinica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Via dei Marsi 78, Roma, Italia. Mail: paoladipersia@gmail.com; accursio.gennaro@uniroma1.it
[2] Professore del corso di “Psicologia della personalità” e “Psicologia delle emozioni delle motivazioni e della personalità: teorie e metodi” presso il Dipartimento Dinamica e Clinica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Via dei Marsi 78, Roma, Italia. Mail: paoladipersia@gmail.com; accursio.gennaro@uniroma1.it
[3] GENNARO A. Introduzione alla psicologia della personalità, II ed., Il Mulino, Bologna, 2014.
[4] AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (1994) DSM-IV- Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4th ed.
[5] GARDNER R.A. (1985) Recent trends in divorce and custody litigation, Academy Forum, 29 (2), pp.3-7.
[6] BERNTE, W., VON BOCH-GALHAU, W., BAKER, A. J. L., & MORRISON, S. L. (2010). Parental alienation, dsm-v, and icd-11. The American Journal of Family Therapy, 38, 76-187
[7] WARSHAK, R.A. (2010). "Family Bridges: Using insights from social science to reconnect parents and alienated children". Family Court Review, 48(1): 48–80,
[8] MALAGOLI TOGLIATTI, M. LUBANO, LAVADERA, A“La Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS): epigenesi relazionali”, in Maltrattamento e Abuso all’infanzia, 2005, 3: 7-12.
[9] LIBERATORE M. GULOTTA G. CAVEDON A. La Sindrome di Alienazione Parentale (PAS): Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano: Giuffrè, 2015.
[10] BUZZI I. “La sindrome di alienazione genitoriale” in Cigoli V., Gulotta G., Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffrè, Milano,1997
[11] MALAGOLI TOGLIATTI, M., FRANCI M., Maltrattamento e abuso all’infanzia, Franco Angeli, Milano, 2005.
[12] AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (2014). DSM-5: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Raffaello Cortina Editore.
[13] LIBERATORE M. GULOTTA G. CAVEDON A. La Sindrome di Alienazione Parentale (PAS): Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Milano: Giuffrè, 2015.
[14] Ididem.
[15] Ididem.
[16] SARTRE J.P. (1943) trad.it Del Bo G. L’essere è il nulla, la condizione umana secondo l’esistenzialismo 2008, Ed. Il Saggiatore, Milano.
[17] GENNARO A. op. cit.
[18] GENNARO A. op. cit.
[19] MORIN, E. (1982) trad. it. Scienza con coscienza, Milano, Angeli, 1988.
[20] BINSWANGER, L. (1923) trad.it. Sulla fenomenologia, in Per un’antropologia fenomenologica, Milano, Feltrinelli, 1970.
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